Il quantitativo di roba che vediamo e ascoltiamo è quasi inaffrontabile. Alcuni intelligentissimi direbbero “specie oggi che c’è internet”, ma è da un bel po’ che va così. È normale che qualcuno senta la necessità di ricostruire le tante scene del crimine, è qualcosa che piace molto a giornalisti e webzinari, ma anche a editori istituzionali o indipendenti, che vogliono farsi bussole e non occuparsi solo di novità effimere.
Il British Film Institute, per dirne una, ha appena pubblicato una “Werner Herzog Collection”: diciotto titoli, contenuti speciali, saggio di Laurie Johnson. Non è questa la sede per dire che ha fatto bene, ma lo è per far notare come ciò lo si possa venire a sapere attraverso la segnalazione di Wire, rivista di musica che, alla luce del legame Herzog-Popol Vuh, avvisa le nuove generazioni di ascoltatori (non di spettatori, occhio) che da poco hanno (ri)scoperto il kraut rock, ma anche – ancora una volta – le colonne sonore, accorgendosi dell’influenza che queste hanno avuto, direttamente o indirettamente, su ciò che sta nella loro collezione di dischi.
Un esempio recente di questi scavi nel passato è costituito dalla ristampa, a cura dell’etichetta Sacred Bones, della soundtrack di Eraserhead di Lynch (vinile andato subito esaurito nel 2013, edizione speciale in cd nel 2014). Il film ha influenzato disfunzionali di ogni ordine e grado: cover di In Heaven (dai Tuxedomoon ai Pixies) a parte, il fatto che a pubblicarne il commento musicale sia stata anche (nel 1982) la punk Alternative Tentacles ci dice molto sulla sua potenza. La Sacred Bones ripete la scelta di Jello Biafra e fa inoltre risaltare – giocando di specchi col sound dei propri artisti (Zola Jesus, Cult Of Youth, Pharmakon) – anche la natura “pre-noise” e “pre-industrial” di quanto realizzato dallo stesso Lynch e da Alan Splet.
Altro recupero importante è quello dei lavori di Eduard Artemiev per Tarkovskij (Solaris, Stalker, The Mirror), opera dell’americana Superior Viaduct. Sono ristampe poste in un catalogo pieno di irregolari punk, post-punk e no wave, quasi a integrare un ipotetico immaginario dell’etichetta. Decisivo accorgersi, nel caso di Solaris, di come il comunicato stampa dia rilievo al suono del sintetizzatore modulare sovietico ANS su cui Artemiev mise le mani, probabilmente perché viviamo un periodo in cui utilizzare strumenti obsoleti/malfunzionanti è scelta estetica di molti (da Aphex Twin a Tim Hecker).
Un’altra storia (occorrerebbe tirare fuori anche Tarantino e postmoderni vari) da raccontare sarebbe quella dell’infinito abbeverarsi da Morricone, e c’entrerebbe ancora la Superior Viaduct. Per non parlare di quella di Simonetti (Goblin), ospite di due edizioni consecutive del Roadburn, uno dei festival metal più importanti adesso. Per ora provate a pensare a come il suono di un film – in combutta con le immagini – abbia plasmato il vostro gusto, e perdonatemi se dopo vi toccherà svuotare la prepagata.