L’origine del male o il male delle origini?
La ricerca delle origini è sempre stata una fascinazione che nell’horror ha portato a generare diversi capitoli per le pellicole di maggior successo. I prequel hanno sempre avuto il movente di ricercare la genesi di un male che metaforicamente già era insito nel mondo; L’esorcista, Venerdì 13, Non aprite quella porta, Omen sono tutti film dalla quale le origini vengono tratte furbescamente per preparare (meglio attirare) anticipatamente lo spettatore a un orrore ancora maggiore di quello visto nei capitoli principali, e che invece dimostra di essere sempre più debole e forzato.
Non poteva sfuggire da questa logica nemmeno The Conjuring, che con il suo prequel/spinoff Annabelle, va a mostrare la storia della bambola protagonista nel folgorante incipit del film di James Wan. Qui ovviamente siamo a cavallo tra i due tipi di operazione, perché del resto Annabelle ha una storia indipendente dagli avvenimenti che saranno protagonisti ne L’evocazione ma allo stesso tempo torna per ammiccare ad una tipologia d’orrore similare e, nelle intenzioni, più oscuro. La possessione della bambola vede al suo interno la presenza di un demone evocato da due satanisti durante l’irruzione nella casa dei due coniugi protagonisti. La vicenda s’interessa al rapporto tra il benessere borghese della coppia (in attesa di un figlio) e il vento di cambiamento portato della controcultura, qui rappresentata solo nella minacciosa proliferazione di sette simil-mansoniane. Annabelle in questo si mostra essere la pellicola più conservatrice tra quelle prodotte o dirette da James Wan, infatti se già era una costante sia in Insidious che The conjuring assistere ad un male insidiarsi dall’esterno dentro il nucleo famigliare, e nucleo stesso da proteggere e preservare nella sua integrità (e che in Annabelle appare santificata), qui ancora di più tale aspetto viene accentuato. Il male non solo viene evocato ma torna insistentemente ogni volta dall’esterno, la bambola è più volte posta fuori dall’abitazione famigliare per poi misteriosamente ricomparire e tormentare le esistenze borghesi dei due protagonisti. Lo stress post-parto della protagonista (una Rosemary con la passione delle bambole) non viene mai preso in considerazione dagli altri protagonisti – come se la fonte di una follia proveniente dal nucleo famigliare non sia un’opzione pensabile – ma credendo senza indugio alla versione sovrannaturale dei fatti. Proprio quest’ultimo aspetto rende Annabelle vacillante e forzato sotto il profilo narrativo perdendo spesso verosimiglianza nelle situazioni più normali e con un ritmo iniziale fin troppo blando, facendo sì che la pellicola si sorregga solo sulle sequenze di tensione (notevoli a dir la verità soprattutto per quanto riguardano la comparsa dell’entità, insidiosa nella sua presenza sottoesposta e mai volgarmente mostrata) ma pur sempre troppo poco, non solo per le altre realizzazioni del suo punto di riferimento Wan, ma anche per un qualsivoglia horror ludico.
Annabelle [id., USA 2014] REGIA John R. Leonetti.
CAST Annabelle Wallis, Ward Horton, Alfred Woodard, Tony Amendola.
SCENEGGIATURA Gary Dauberman. FOTOGRAFIA James Kniest. MUSICHE Joseph Bishara.
Horror, durata 95 minuti.