La stagione cinematografica, si sa, inizia con Venezia. Dal Lido si dipanano gli intrecci che, durante la stagione autunnale, tengono compagnia agli spettatori nelle monosala e, più raramente, nei multiplex. Se dunque è sulla Mostra che dobbiamo calibrare il tiro, in attesa di Roma e Torino, non possiamo lamentarci, come in molte edizioni passate, della presenza italiana fuori e dentro il concorso.
Film di grande spessore storico e visivo come Il giovane favoloso di Martone, di grande vitalità drammatica come Anime nere di Munzi, sbagliati ma coraggiosi come La vita oscena di De Maria o piccoli ma preziosi come Short skin di Chiarini, sono ognuno a suo modo indici di un fermento artistico non inferiore a quello di altri Paesi ben più inflazionati come Francia, Cina o i soliti Stati Uniti.
Da Venezia alla sala il passo è, purtroppo, molto lungo ed è condizionato dalle logiche della distribuzione. I nostri ragazzi di De Matteo e Hungry Hearts di Costanzo, prodotti deboli se non grotteschi, fanno entrambi parte della batteria di uno dei maggiori distributori italiani. Il secondo, percorrendo il fortunato sentiero esterofilo tracciato negli ultimi anni da Sorrentino, Tornatore e Salvatores, è riuscito anche ad aggiudicarsi entrambi i premi per le interpretazioni, anche se Adam Driver lo ha ricevuto tramite Skype e qualcuno in Sala Grande giura di aver sentito il fegato di Elio Germano consumarsi fino a scoppiare.
E gli altri? Incassata la sconfitta si sono rimboccati le maniche e sono partiti per quello che ormai è un appuntamento fisso per i film d’autore italiani: il tour nei cinema. Seguendo la pagina facebook di Anime nere ci si fa un’idea di cosa sia una ‘distribuzione aumentata’ giocata soprattutto sui social mentre la stessa cosa è impossibile per i film di Costanzo e De Matteo per un semplice motivo: non esiste una loro pagina facebook. Si assiste sempre più spesso ad una forma di gerarchizzazione che porta prodotti medio-piccoli, profondamente legati al tessuto socio-culturale italiano, a dover bussare sala per sala, a doversi inventare dei teaser, a dover condividere interviste, backstage e quant’altro sui social: il tutto, almeno, fa bene alla fantasia e all’inventiva.
Il provincialismo di cui si accennava nel titolo assume, dunque, una doppia valenza: positiva perché dalla provincia emergono autori capaci e storie emozionanti che mirano ad un contatto diretto col pubblico; negativa quando ci si trova davanti alla smisurata distribuzione dell’ennesimo autore ‘fuggito’ all’estero per girare un film di genere o dell’ennesimo film tratto da un caso editoriale.
Se questa forbice dovesse allargarsi il pubblico potrebbe non sapere più dove andare a trovare il cinema italiano, sperso fra festival o eventi sporadici.