SPECIALE PUPI AVATI
“Solo un grande artista può dare un senso così vero alla morte”
La casa dalle finestre che ridono è un mystery-horror diretto da Pupi Avati che negli anni si è guadagnato lo status di cult tra gli appassionati di cinema italiano degli anni ’70. Il film risale al ’76 e quindi appartiene al periodo di massima espansione dell’horror nostrano. L’anno prima usciva nelle sale Profondo rosso che consacrava la via italiana all’orrore battezzandone i tratti più caratteristici: tanto mistero, un’indagine e molto sangue rosso brillante.
La casa dalle finestre che ridono è, quindi, un horror all’italiana ma è anche un importante esperimento di geolocalizzazione del film di genere. Avati non rinuncia all’ambientazione padana per inseguire un prodotto più internazionale e vince la scommessa dando un tocco di originalità a un piccolo film che, altrimenti, sarebbe molto più insipido. Il film di mistero ambientato nella Bassa Padana ha pochi precedenti e non avrà un grande seguito (ma bisogna citare Notte italiana di Carlo Mazzacurati), eppure la formula funziona benissimo. I casolari abbandonati sono perfetti per un racconto dell’orrore e le strade di paese desolanti e assolate ricordano il miglior Texas di un Non aprite quella porta. Il protagonista è Stefano, un giovane restauratore che deve occuparsi di un affresco custodito in una chiesa della provincia di Ferrara. L’affresco rappresenta il martirio di San Sebastiano ed è per metà coperto di muffa. Esso fu realizzato da Buono Legnani, un talentuoso pittore locale morto suicida anni orsono. I paesani parlano con difficoltà del Legnani e, dopo aver rinvenuto un nastro appartenuto al pittore, Stefano comprende come la sua arte fosse strettamente connessa con la sua follia. Stefano è il tradizionale outsider che penetra in una comunità chiusa e deve superare il muro di gomma per far luce su un mistero irrisolto. Si sente al sicuro mentre indaga sui fantasmi del passato: il pittore si è tolto la vita da più di vent’anni e quindi la sua indagine è quasi ludica, eppure, quando inizia a sfiorare la verità, il paese si risveglia e una serie di delitti tenta di distoglierlo dalla sua ricerca. Il provincialismo dei personaggi è una parte fondamentale del film di Avati: da Lidio, il chierichetto troppo cresciuto, a Coppola, l’ubriacone del paese, sono tutti omertosi e derelitti perché complici di un delitto seriale che si consuma da decenni. La vera e propria exploitation è poca e si lascia attendere, ma gli effetti sono ben realizzati e si fa uso di ottimi modelli artigianali. La casa dalle finestre che ridono è un film a basso budget che gioca bene le proprie carte dosando i meccanismi di genere più consolidati e le intuizioni innovative, l’indagine di mistero e la violenza cruda dei delitti. Sicuramente il momento più alto della filmografia del suo regista.
La casa dalle finestre che ridono [Italia 1976] REGIA Pupi Avati.
CAST Lino Capolicchio, Francesca Marciano, Gianni Cavina, Vanna Busoni, Bob Tonelli.
SCENEGGIATURA Pupi Avati, Antonio Avati, Gianni Cavina, Maurizio Costanzo.
FOTOGRAFIA Pasquale Rachini. MUSICHE Amedeo Tommasi.
Thriller/Horror, durata 106 minuti.