SPECIALE MONDI DISTOPICI
Affinità elettive
Per allontanare il terrore di un mondo che si fonda sul vuoto e sull’assenza, Truffaut affolla le struggenti sequenze finali del suo Fahrenheit 451 con gli uomini-libro e il loro ossessivo e inquieto vagare. Congedo magico e malinconico, poeticamente costretto in un’ambiguità che era già di Antoine Doinel ne I 400 colpi, anch’egli bambino-libro. Perché essere uomini-libri non significa necessariamente essere uomini-liberi.
Comunità isolata rispetto al corpo sociale controllato dalla “Grande Famiglia”, gli uomini-libro si oppongono al progetto tirannico e autoritario che ha bandito la lettura come causa dell’infelicità umana. Imparando a memoria i libri, la comunità della “resistenza culturale” ne trattiene il ricordo per consegnarli alle generazioni successive e scongiurare la fine dell’umanità. Adattando l’omonimo romanzo fantascientifico distopico di Ray Bradbury scritto negli anni Cinquanta in pieno clima maccartista, Truffaut piega la metafora sociologica delineata dallo scrittore americano al servizio della propria biografia, dando vita ad un film considerato dalla critica come tra i suoi meno riusciti. Scarno nei dialoghi, meccanico nei passaggi narrativi, eccessivamente simbolico nelle relazioni tra i personaggi appena abbozzati, il Fahrenheit cinematografico resta imperfetto. Ad incidere maggiormente è forse quel peculiare distacco emotivo che distingue il film, connotato che se da un lato vuole rendere la misura di un mondo annichilito dal controllo della tv e della legge, dall’altro probabilmente deriva al film dalla sua travagliata progettazione artistica: le difficoltà legate all’uso di una lingua sconosciuta al regista, l’inglese; gli accesi contrasti con l’attore protagonista Oskar Werner, insieme alla sostanziale disaffezione per il genere fantascientifico. Tuttavia, al di là delle debolezze, Fahrenheit 451 resta traccia incancellabile nel nostro immaginario di spettatori, film tra i più ricordati dell’intera storia del cinema, grazie ad alcune immagini indimenticabili che Truffaut ci regala: quelle dei e con i libri, la cui centralità visiva rispetto ai personaggi della vicenda è radicata nella sua infanzia, nel suo profondo amore per la letteratura. I libri sono per Truffaut l’unica famiglia che abbia mai avuto, possibilità di (ri)scrivere la propria vita, di avere un’identità. Sono memoria. Ed è soprattutto nella straordinaria capacità di fondere in un’unica illuminante visione questo amore che il film si accende di vera passione. Uomini che svuotandosi della propria individualità, cercano nutrimento nelle parole proibite, possibilità di vivere nelle pagine censurate. Uomini dall’animo libresco, libri che si fanno corpo. Atto d’amore estremo, sospeso tra il sacrificio di sé e la follia, che magistralmente illumina il senso profondo dell’arte di un autore che alla vita reale ha sempre preferito il suo riflesso nei libri, nella musica, nel cinema.
Fahrenheit 451 [id. Gran Bretagna 1966] REGIA François Truffaut.
CAST Oskar Werner, Julie Christie, Cyril Cusack, Anton Driffing.
SCENEGGIATURA François Truffaut, Jean-Louis Richard (tratta dall’omonimo romanzo di Ray Bradbury). FOTOGRAFIA Nicolas Roeg. MUSICHE Bernard Herrmann.
Fantascienza, durata 112 minuti.