SPECIALE MONDI DISTOPICI
“Somewhere in the 20th Century”
Dopo la prima catastrofe cinematografica, The Comet del 1910, apocalissi atomiche, mondi senza sentimenti e olocausti librari, la coscienza atrofizzata dell’individuo è sommersa da moduli cifrati e scartoffie burocratiche nella metropoli surreale e kitsch creata da Terry Gilliam nel 1985.
Se la pietra miliare di Gilliam può essere accostata alla distopia letteraria orwelliana, lo è solo nella proiezione dell’uomo entro i confini euclidei di un futuro che antepone il calcolo all’irrazionalità del sogno, in un mondo corrotto in cui l’uomo è schiacciato dalla burocrazia. Proprio all’interno di una fantasticheria ricorrente si perde Sam Lowry (il talentuoso Jonathan Pryce), mite impiegato al Ministero dell’Informazione che preferisce mansioni ordinarie alle promozioni verso cui lo spinge l’altolocata madre con la fissa per la chirurgia (anti)estetica. Mentre i terroristi cercano di liberarsi dalla tirannide statale, immagina di essere uno pseudo Icaro alato con armatura argentea in procinto di salvare una fanciulla in pericolo. La vita dell’archivista è sconvolta da un errore burocratico: Buttle viene confuso con Tuttle e arrestato al suo posto. Segue una reazione a catena in cui Lowry, diviso tra le sardoniche apparizioni del sovversivo libero professionista Tuttle (Robert De Niro) e la ragazza incontrata in sogno, diventa un anarchico rivoluzionario deciso a minare l’ordine squadrista. La farsa fantapolitica ideata dall’ex Monty Python opera continue rivoluzioni copernicane, dalla riscrittura scanzonata dei generi (dal fantasy al noir anni ’50) fino alla creazione di un luna park allucinato, tra momenti di lirismo onirico e burlesche gag slapstick. Quando il delirio kafkiano sposa il sarcasmo nero di Vonnegut, escono fuori “mattatoi” burocratizzati che producono invenzioni visionarie sul tema portante e goliardico di “Aquarela do brasil”. Lo sguardo “grandangolare” del regista riluce nel gigantismo delle scenografie di Norman Garwood, si fa visione aerea debordante dal basso o dall’alto in un futuro imprecisato dominato dall’imperium della modulistica. La satira è servita e la moltiplicazione di immagini iperrealiste crea deformazioni grottesche a getto continuo: corridoi claustrofobici dei palazzi ministeriali, cronenberghiani corpi in disfacimento, squadriglie armate dedite alla tortura, dittatori e alti burocrati da operetta, stralunati operai clandestini. Come ha dimostrato ancora nel recente The Zero Theorem, Gilliam è un geniale destabilizzatore dell’entertainment e Brazil, manifesto teorico della sua poetica socialmente e fieramente “scollegata” in cui l’essere umano è destinato all’oblio e la chimerica Shangri-La rimane “il migliore dei mondi possibili”.
Brazil [id., Gran Bretagna 1985] REGIA Terry Gilliam.
CAST Robert De Niro, Jonathan Pryce, Katherine Helmond, Bob Hoskins, Jim Broadbent.
SCENEGGIATURA Terry Gilliam, Charles McKeown, Tom Stoppard. FOTOGRAFIA Roger Pratt. MUSICHE Michael Kamen.
Fantascienza, durata 142 minuti.