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A Pigeon Sat on a Branch Reflecting on Existence

sabato 6 Settembre, 2014 | di Stefano Lalla
A Pigeon Sat on a Branch Reflecting on Existence
Festival
0
Voto autore:

71a Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, 27 agosto – 6 settembre 2014, Lido di Venezia

SPECIALE 71a MOSTRA DEL CINEMA DI VENEZIA
I’m happy to hear you’re doing fine!”
A Pigeon Sat on a Branch Reflecting on Existence chiude un’ideale trilogia sull’essere umano con la quale Roy Andersson ha raccontato le bassezze e la miseria dell’uomo con il suo humour nero e sottile, decisamente scandinavo.

A Pigeon calca maggiormente sul lato comico ed è quindi più accessibile rispetto agli impalpabili Canzoni dal secondo piano e You, the Living, ma la cattiveria del regista svedese è rimasta invariata. I suoi personaggi sono zombi pallidi e anziani rimbambiti che muoiono per lo sforzo di aprire una bottiglia di vino.mediacritica_a_pigeon_sat_on_a_branch_reflecting_on_existence_1a Piccolo borghesi laconici, imbarazzati e imbarazzanti o venditori di scherzi di carnevale depressi, sono questi i protagonisti dei quadretti di Roy Andersson. Il film è, infatti, un mosaico a episodi connessi tra loro da legami debolissimi e privi di qualsiasi drammaturgia di fondo. Fra i pochi collanti c’è una frase che viene ripetuta più volte: “I’m happy to hear you’re doing fine!”. I personaggi di Andersson non sono in grado di ribellarsi alla propria miseria esistenziale, la accettano con rassegnazione mantenendo un ipocrita contegno di facciata oppure la esorcizzano opprimendo gli individui più deboli. D’altronde essi non possono liberarsi del proprio lato triste o maligno e la trilogia di film ha voluto toccare gli aspetti più odiosi degli esseri umani che, secondo Andersson, appartengono all’homo sapiens a prescindere dalla sua provenienza geografica. L’umorismo ermetico di Andersson si semplifica un po’ quando mette in scena la violenza, che comunque rimane sempre patinata e ingessata. Chi la perpetra lo fa in modo meccanico e privo di interesse, mentre chi la subisce è troppo educato (o fatalista) per ribellarsi. Ogni quadro è un piano sequenza a inquadratura fissa, sempre orchestrato in maniera magistrale. I soggetti sono sempre a figura intera, la mancanza di primi piani determina un forte distacco emotivo ma anche l’importanza di vedere il film al cinema per poter spaziare con lo sguardo all’interno delle amplissime composizioni e coreografie umane (sempre in profondità di campo). Andersson si è formato sui set pubblicitari, da qui deriva la sua grande cura per la fotografia e l’ottima capacità di gestire gli spazi. Alcuni degli episodi sorprendono per la semplice difficoltà tecnica e per la quantità di comparse, tutte coreografate alla perfezione e senza l’appiglio degli stacchi di montaggio. La lavorazione del film ha, infatti, richiesto quattro anni che diventano quattordici per l’intera trilogia. Ma A Pigeon è anche un esperimento di linguaggio che sorprende per la varietà e il coraggio registico. In esso troveremo contaminazioni storiche demenziali, pezzi musicali inaspettati, sguardi in macchina e molte altre trovate che si amalgamano alla perfezione in un’unica, riuscitissima ricetta.

A Pigeon Sat on a Branch Reflecting on Existence [En duva satt på en gren och funderade på tillvaron, Svezia 2014] REGIA Roy Andersson.
CAST Nils Westblom, Holger Andersson.
SCENEGGIATURA Roy Andersson. FOTOGRAFIA István Borbá, Gergely Pálos.
Commedia/Drammatico, durata 101 minuti.

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