SPECIALE VENEZIA CLASSICI
Gli equivoci del potere
Secondo lungometraggio di Marco Bellocchio dopo il folgorante esordio de I pugni in tasca, La Cina è vicina raccolse molte aspettative che l’autore seppe maneggiare ed elaborare a proprio vantaggio, realizzando un film diverso dal precedente ma coerente con la propria poetica.
Se esiste un racconto politico nella produzione di Bellocchio, La Cina è vicina, prima opera di finzione tra quelle che vi appartengono, appare indubbiamente connesso alla militanza giovanile che, di lì a poco, avrebbe coinvolto il regista: il passaggio dall’Azione Cattolica ai gruppi del marxismo-leninismo, senza attraversare direttamente le sollecitazioni del PCI – cui non fu iscritto, a differenza di molti colleghi – avrebbero indotto Bellocchio a contaminare la propria lettura della realtà, allargando lo sguardo anche su esperienze minori, come i Quaderni piacentini fondati nel ’62 dal fratello Piergiorgio, rivolte alla contestazione dei diktat e delle ipocrisie borghesi della sinistra. Ben prima dei film che scaturirono da quelle esperienze, La Cina è vicina si impose come l’ulteriore gesto di rottura di un regista appena ventottenne: premiato a Venezia, il film scandalizzò moltissimi nomi della politica del tempo, ma la scelta di un genere come la commedia degli equivoci, costruita entro un meccanismo drammaturgicamente geometrico e dagli insistenti rimandi alla tradizione del cinema classico americano e della commedia all’italiana, garantì al contempo a Bellocchio la possibilità di fare un film per il pubblico, a partire dal pubblico, e innestare su forme note e canoni codificati il proprio discorso. Per riprendere la felice definizione di Aprà e De Gregorio, si tratta di un esempio di “politica dominante (attraverso il) cinema dominante (rivolto al) pubblico dominante”, ma il tutto avviene in direzione profondamente anticonvenzionale. Ritraendo in chiave grottesca i compromessi con il potere e i sentimenti di quattro personaggi dalle origini contrapposte – due borghesi, fratello e sorella, e due proletari, tra loro amanti – il film punta a denunciare come, dietro all’unificazione di un partito borghese con un partito operaio (erano gli anni del Partito Socialista Unificato), si celi in realtà il totale asservimento del proletariato ad opera della borghesia, la fine delle opposizioni e della dialettica in nome della proprietà, lo stallo politico e il regresso. L’indubbio merito della Mostra del Cinema di Venezia nel riproporre il film in versione restaurata sta proprio nella possibilità di verificarne la lucida lungimiranza, in quella peculiare sintesi di rabbia e contestazione con cui soltanto Bellocchio ha saputo smascherare il trasformismo e le velleità della sinistra italiana, passata e presente.
La Cina è vicina [Italia 1967] REGIA Marco Bellocchio.
CAST Glauco Mauri, Elda Tattoli, Paolo Graziosi, Daniela Surina.
SCENEGGIATURA Marco Bellocchio, Elda Tattoli. FOTOGRAFIA Tonino Delli Colli. MUSICHE Ennio Morricone.
Commedia, durata 93 minuti