Bronchiti
Il famoso fischiettio di Gene Kelly che balla il tip tap sotto la pioggia battente avrà nei decenni sicuramente causato qualche bronchite, ma soprattutto è diventato il simbolo più immediato di un film icona come Cantando sotto la pioggia, diretto nel 1952 dalla coppia Stanley Donen e Gene Kelly.
Come, mettiamo, il bagno nella Fontana di Trevi ne La dolce vita o la disperata e liberatoria corsa de I 400 colpi, o ancora come la discesa lungo la scalinata di Viale del tramonto. Siamo quindi nel campo dei “film monumento”, lampanti e lucenti nella loro fama diffusa trasmessa dalle loro sequenze più celebri.
Cantando sotto la pioggia è parte di una trilogia diretta da Donen e Kelly e composta da Un giorno a New York (1949) e dall’amaro e sottovalutato È sempre bel tempo (1952). Divertente, sfavillante, coinvolgente e vivace, non perde il suo fascino e la sua brillantezza anche ad una seconda, terza o quarta visione. Insomma, è uno dei vertici del classicismo hollywoodiano e uno dei suoi prodotti più longevi e celebrati. Perché questo successo? Innanzitutto, Singin’ in the Rain presenta un raro equilibrio tra i momenti musicali e le altre parti. Ci sono sì quei 4/5 numeri cantati e ballati entrati nel mito, a partire da quello che dà il titolo al film, ma allo stesso tempo ci troviamo di fronte ad una commedia molto ben costruita, spesso ironica verso lo star system hollywoodiano. Anche i personaggi sono meno bidimensionali rispetto ad altre occasioni offerte dal genere. Il merito di questo equilibrio è dovuto al mestiere di Stanley Donen, grazie al quale viene limitata la prevalenza delle coreografie e viene colto il giusto equilibrio tra le note e le gag, tra i balli e le parole, che in qualche modo diventano parte di un flusso coerente e denso. Inoltre, Cantando sotto la pioggia è una delle prime riletture compiute da Hollywood sulla propria storia. Siamo dalle parti del “Metacinema”: il classicismo hollywoodiano apre le porte dei set e mostra esplicitamente il suo essere finzione (si veda la sequenza in cui il protagonista e il suo amico passano davanti ad una successione di set cinematografici diversi, ognuno dei quali svela i segreti della realizzazione dei vari generi) e il suo essere altro rispetto alla realtà e la sua capacità mitopoietica (emblematica la sequenza in cui il protagonista si dichiara all’amata utilizzando i trucchi del set). Tutto questo raccontando il passaggio al cinema sonoro, cioè il consolidamento della mitologia della settima arte a stelle e strisce come fabbrica dei sogni. Hollywood, quindi, negli anni in cui il classicismo più tipico e mitologico iniziava a mutare, con Cantando sotto la pioggia in qualche modo ragiona su se stessa, divertendosi e soprattutto facendo divertire moltissimo. E fa nulla per le bronchiti causate.
Cantando sotto la pioggia [Singin’ in the Rain, USA 1952] REGIA Stanley Donen, Gene Kelly.
CAST Gene Kelly, Donald O’Connor, Debbie Reynolds, Jean Hagen, Millard Mitchell.
SCENEGGIATURA Adolph Green, Betty Comden. FOTOGRAFIA Harold Rosson. MUSICHE Lennie Hayton.
Musical, durata 103 minuti.