SPECIALE STANLEY KUBRICK
Il profumo nauseabondo della Violenza
“Certo vivo in un mondo di merda. Ma sono vivo, e non ho più paura”: questo è il lascito, la dichiarazione d’amore e d’intenti di Joker, protagonista di Full Metal Jacket, ispirato al romanzo di Gustav Hasford Nato per uccidere (1979).
Kubrick racconta la guerra e la morte, ma anche l’ansiosa, ansiogena e alienante vita degli addestrati di Parris Island, componendo una litania, fatta di percorsi di guerra, corse ed esercizi ginnici, mettendo in scena il suicidio di un’intera generazione pronta a scattare in nome di una bandiera e di una Nazione. L’autore divide l’opera in due parti: l’addestramento del Marine, cresciuto a suon di violenza, di virilità e di appagamento sessuale, anche solo pensato/immaginato; e l’azione militare, la guerra vera in Vietnam. Il sergente Hartman plasma le sue reclute. Inni, urla, bestialità e svilimento. Gli uomini diventeranno soldati atti a uccidere. Violenza, morte, sessualità sono strettamente legati, il marine deve essere maschio, virile, arrapante e arrapato: la donna è il fucile, Hartman gli ricorda che è quello l’unico “buco” da riempire. L’arma è anche metafora della forza maschia: il fallo come il fucile, il fucile come il fallo, la galvanizzazione per l’uno si confonde con l’erezione dell’altro. Hartman vuole renderli sempre pronti, ma questo stato è una tortura logorante per il corpo e la mente, e infatti il piacere, sconfinando nella follia, aumenta tanto da implodere. Dopo l’ultima notte di Parris Island, Full Metal Jacket cambia registro e il rigore maniacale del campo-prigione lascia posto agli esterni: se prima si “giocava” alla guerra, qui si combatte. Simbolo di questo processo è Joker, pieno di contraddizioni e complessità – parla di guerra e indossa la spilla della pace –, muta nel corso della pellicola – era “Joker” ma alla fine diventa lui uomo-azione, spietato e freddamente lucido. Si discorsivizza e si mette in scena la psicopatologia della natura umana (gli occhi spiritati di Palla di Lardo), la celebrazione della più gretta e bassa mascolinità (nella violenza si crea il Maschio), la spersonalizzazione totale dell’uomo, svilito in tutti i modi, per costruire un corpo unico, il cosiddetto Uomo-Massa (il film si apre con una scena eloquente: ai giovani vengono rasati i capelli, le loro identità cadono con essi; i vecchi ragazzi lasciano posto ai futuri soldati). Kubrick ci regala un film con tematiche simili alle sue pellicole precedenti, ma profondamente diverso (si pensi alla guerra di Orizzonti di gloria): anti-retorico e ironicamente cinico (Marcia di Topolino finale), è un unicum, un’inquietante poema sulla violenza, sulla follia umana, omicida-suicida, che picchia così duro da non darci pace.
Full Metal Jacket [id, USA/Gran Bretagna 1987] REGIA Stanley Kubrick.
CAST Matthew Modine, Ronald Lee Ermey, Adam Baldwin, Vincent D’Onofrio.
SCENEGGIATURA Stanley Kubrick, Gustav Hasford, Michael Herr (tratta dal romanzo Nato per uccidere di Gustav Hasford). FOTOGRAFIA Stanley Kubrick. MUSICHE Abigail Mead (Vivian Kubrick).
Guerra/Drammatico, durata 116 minuti.