SPECIALE STANLEY KUBRICK
Un film post-ideologico
Le ragioni per cui il cinema di Stanley Kubrick esercita un’impronta indelebile sulla coscienza collettiva sono molteplici, ma indubbiamente un motivo fondamentale è il suo essere “senza tempo”: andare oltre le congiunture storiche per cogliere l’immutabile fattore umano, scovare le costanti tra le diverse epoche, società e culture, dall’antica Roma al Settecento, dalla Grande Guerra al Vietnam. Il film che però più di altri appartiene al “nostro” tempo resta Arancia meccanica.
Tratto dal romanzo Un’arancia a orologeria di Anthony Burgess, il titolo racchiude in un’immagine il senso del libro e del film: incapaci di scegliere liberamente il bene o il male perché altri – lo Stato, in questo caso – scelgono per loro, gli uomini restano frutti appariscenti ma cavi all’interno, governati da ingranaggi e privi di sostanza autentica. Difficilmente però riusciremmo a guardare oggi a questa dialettica tra uomo libero e istituzioni nello stesso modo in cui avremmo considerato la sua attualità negli anni della contestazione e dello scontro ideologico. La causa è forse da rintracciare nella natura bifronte del film: da un lato, realizzato in un momento storico in cui l’azione violenta era connaturata all’attivismo politico, destò scandalo quando rappresentava omicidi e stupri privi di una vera intenzione, e che non rimandavano ad altro se non a loro stessi; dall’altro, descrivendo un futuro non così lontano, interpella più direttamente noi che non i nostri padri. Pestare, violentare, uccidere diventa facile come bere un bicchiere di latte, perché appunto sono azioni prive di scopo e che rispondono solo alla soddisfazione epidermica di un istante. La morale di Alex e dei suoi drughi è in fondo un “e perché no?”, come se la linea di demarcazione tra giusto e sbagliato si fosse assottigliata fino a scomparire. Lo Stato interviene per ristabilire il confine, premurandosi di punire e castrare piuttosto che correggere e rieducare, e imponendo un sistema di valori che non nasce da alcuna riflessione di tipo morale, finisce per legittimare le scorribande dei teppisti. Il bene e il male diventano in definitiva concetti astratti e categorie interscambiabili. Il paradosso è che Arancia meccanica getta un’ombra inquietante su ciò che sarà il futuro, ma il nostro presente ha fatto propria l’iconografia del film, che probabilmente rimane il più noto di Kubrick anche tra chi non lo ha visto. Trasformati in un mito pop, tra t-shirt, costumi di Halloween e persino simbologie Ultras, i drughi e la loro ultraviolenza vengono citati a piene mani nel cinema e fagocitati dalla cultura di massa, venendo quasi neutralizzati nel loro significato per essere ridotti a emblemi e marchi. È come se il cinema stesso come linguaggio risentisse dell’inesorabile trascorrere del tempo, perdendo la sua forza significante.
Arancia meccanica [A Clockwork Orange, Gran Bretagna/USA 1971] REGIA Stanley Kubrick.
CAST Malcolm McDowell, Patrick Magee, Adrienne Corri, Warren Clarke, Michael Tarn.
SCENEGGIATURA Stanley Kubrick. FOTOGRAFIA John Alcott. MUSICHE Walter Carlos.
Fantascienza/Drammatico, durata 131 minuti.