“The animals, the animals/ Trapped, trapped ‘till the cage is full”
Abbiamo lasciato Piper (Taylor Schilling) china su “Pennsatucky” in preda ad una furia animale, così bene espressa dalla sigla (ideata e cantata da Regina Spektor, delicata e palese dichiarazione della propria crudele, forse spaventosa, forse sbagliata, individualità): cosa ne è stato di lei?
La seconda stagione di Orange Is the New Black – una delle serie più controverse e seguite targate Netflix, ideata da Jenji Kohan (Weeds), che trae ispirazione dal libro Orange is the New Black: My Year in a Women’s Prison, scritto da Piper Kerman – inizia con molti dubbi e poche certezze. Ritroviamo Piper chiusa in una cella d’isolamento, pittrice “murale”, persa nel suo mondo solitario, tormentata da domande. Viene svegliata nel cuore della notte e spedita da qualche parte, ma dove, e perché? Gli interrogativi si susseguono e affliggono la protagonista e noi. Le donne di Litchfield, soprattutto se messe a confronto con gli uomini (inetti, codardi e ninfomani), sono pazzesche, drammatiche, spaventose, malate, cazzute e strafighe; ed è proprio questo il punto di forza del dramedy: rappresentare la comunità carceraria, fragile, instabile, per sua natura estremamente complessa ed affascinante. Kohan, aiutata da Kerman, non lavora solo sul cliché della prigione declinandolo al femminile, né su quello di genere, dando forma a personaggi vivi e vitali, di spessore, mescolando ironia e dolore, ansia e cinismo, sporcizia e sorellanza nonostante tutto. Non c’è solamente la nerboruta, tatuata e lesbica, ma vi è una ridda variegata di detenute organizzate in tribù, che non tolgono verità e autenticità, perché i personaggi, vecchi e nuovi (Vee e Soso), sono costruiti con minuzia di dettagli e sfumature. Nella prima serie abbiamo imparato a conoscere Piper, le sue insicurezze, le sue nevrosi, la sua instabilità emotiva; abbiamo incontrato le sue compagne di detenzione, imparando ad amare Morello, “Occhi pazzi”, Red. Nella seconda serie è come se si entrasse ancor di più nella materia, mantenendo insolute alcune questioni (la maternità di Daya) e sciogliendone altre, il legame si fa più stretto perché i flashback ci fanno conoscere profondamente le nostre eroine, mettendo quasi in secondo piano Piper – indurita, oramai scafata, perfetta conoscitrice delle regole della prigione e delle leggi delle “tribù”. Orange Is the New Black è ben costruita, conquista con le sue donne coerenti perfino nell’incoerenza, non ha paura di sviscerare temi complessi (carcere, religione, omosessualità, transgenderismo, violenza), sezionandoli in maniera chirurgica, e portando alla luce le dinamiche dell’individuo. Come ci sorprenderà la terza serie?
Orange Is the New Black [id., USA 2013-in corso] IDEATORE Jenji Kohan.
CAST Taylor Schilling, Jason Biggs, Kate Mulgrew, Laura Prepon, Michael J. Harney.
Commedia/Drammatico, durata 51-52 minuti (episodio), stagione 2.