Complice l’insonnia, alle quattro del mattino la mente vagabonda ha cominciato a stilare uno strano elenco, provando a rispondere a una domanda in sé piuttosto semplice: della generazione dei cineasti autori in auge negli anni ’80, chi è ancora in testa a guidare il gruppo?
Man mano che spulciavo tra i nomi, la risposta si faceva sempre più netta e drammatica: assai pochi. In crisi, assenti ingiustificati o persi, partiti per una tangente ombelicale, dediti ad altro o “venduti” (si fa per dire ovviamente), l’elenco è lungo e qui non esaustivo. Per citare solo i notissimi: Cronenberg e tutta la generazione del new horror cui è stato forse erroneamente accomunato (da Tobe Hooper a Wes Craven, da Stuart Gordon per arrivare a Sam Raimi), Lynch, Jarmusch, Egoyan, John Sayles, Greenaway, Terry Gilliam, Gitai, Bartas, Kusturica, John Woo, Tsui Hark, Zhang Yimou, Kiarostami, Makhmalbaf, Tsai Ming-Liang, Carax, Beineix, Annaud, Besson (all’inizio pareva davvero un autore), Almodóvar, Gutiérrez Aragón, Jane Campion, Von Trier (vabbè solo recentemente), Kitano. Di quelli che ho scoperto e amato in quegli anni “si salvano”, per continuità e coerenza artistica, Kaurismäki, i Coen, il meditabondo Moretti, Haneke (che per età andrebbe però collocato nella decade precedente), i Dardenne, Frears, Assayas. Per carità, non sto dicendo che il cinema sta morendo. Tutt’altro. Da una parte è inevitabile e naturale (non sempre) che l’età tenda a bloccare la vis creativa. Dall’altra però una nuova generazione – che a questo punto definirei tostissima – di registi sta lavorando e bene, con motivazioni diverse, imponendo altre visioni e perturbamenti (qualche nome? Nella mia personalissima lista spiccano Villeneuve, Nolan, Park Chan-wook, Garrone, Sorrentino, Bong Joon-ho, Diao Yinan, Wes Anderson e Paul Thomas Anderson e chissà quanti altri me ne sto dimenticando). Quello che sostengo è invece un’altra cosa. Che implica credo il decadere del concetto stesso di “Autore”, almeno quello emerso con gloriosa bellicosità e fatica, dai ’50 dei Cahiers du cinéma, passando per le varie scuole europee ed extra, il new cinema ribelle degli Usa dei ‘70, i festival più culturalmente attrezzati che peraltro sopravvivono – e bene – ancora oggi. Quel tipo di artista-intellettuale-demiurgo che si era contrapposto alla prodigiosa e lubrificata macchina per sogni di Hollywood e province varie, magari con felici mediazioni tattiche o occupazioni di spazi lasciati incustoditi; ebbene: quella figura di cineasta-manifesto di se stesso, garanzia automatica di arte e cultura altra (o alternativa), è andata in crisi, collassata, implosa. Per mancanza di produttori coraggiosi certo (ma questa è piuttosto un’altra conseguenza), ma anche per una mutazione del clima sociale, più globalizzante (ovvero totalizzante), più nebuloso e cinico allo stesso tempo. Del resto, altri modi di fare comunicazione-arte-spettacolo hanno occupato spazi e svolgono le funzioni un tempo assolte dalla settima arte: si pensi ai videogiochi, agli spot, alle serie tv, all’intrattenimento via web. Io però ho bisogno ancora di Testimoni del Tempo, di Messaggeri dello Spirito dell’Epoca. E voi cosa ne pensate?