“Che cosa stiamo dicendo?”, “Non lo so”
Caden Cotard è un regista teatrale di successo, ma in cerca dell’opera definitiva, “sincera e senza compromessi”; è un uomo lasciato dalla moglie, ma incapace di trovare stabilità con altre donne; è un malato (immaginario?) convinto di essere ormai prossimo alla morte.
Teatro è vita. Vita è rappresentazione. Rappresentazione è illusione. Illusione è ricordo. Ricordo è senso del tempo. Senso del tempo è interiorità. Interiorità è pensiero. Pensiero è flusso di coscienza. Flusso di coscienza è Charlie Kaufman. Ecco come si sviluppa l’esordio alla regia del cerebrale autore di Essere John Malkovich e Se mi lasci di cancello. Un film dall’andamento irregolare e frammentario, con più narrazioni che si incrociano e mescolano, in cui si confondono realtà, finzione e ricordo, un gioco di scatole cinesi in cui sono messi in scena, impossibili da distinguere, anche sogni, illusioni e pensieri dei personaggi. Un film spiazzante, privo di linearità temporale e dai nessi logici labili: un flusso d’immagini, di eventi e di dialoghi di ardua lettura. Un geniale e surreale stream of consciousness cinematografico, un racconto onirico che procede per associazioni e sostituzioni (come suggerisce il titolo) di termini, dove ogni personaggio, ogni frase, ogni azione, rimanda a qualcosa di altro o (come pensa chi scrive) una sceneggiatura inutilmente labirintica, una regia incerta e ridondante, un montaggio fastidioso e approssimativo, un film autoreferenziale e supponente nel suo essere volutamente criptico? Nonostante il bel lavoro sulla scenografia, dispiace vedere Kaufman sprecare un cast di grande potenziale sperduto e sballottato tra malattie vere e presunte, case perennemente in fiamme, ragazze tatuate, viaggi a Berlino, donne delle pulizie che donne non sono, love story improbabili, psichiatri e medici da barzelletta, attori teatrali che interpretano personaggi reali e si innamorano dei loro stessi modelli. Al centro il drammaturgo Caden, i suoi fantasmi, le sue ossessioni, la sua solitudine. Sul fondo l’ennesima stantia riflessione sul ruolo dell’arte come specchio dell’esistenza, la vita come messa in scena, sospesa tra commedia e tragedia, di una realtà surreale in cui gli unici attori possibili siamo noi stessi. I registi di fiducia di Kaufman, Spike Jonze e Michel Gondry, sono stati giustamente alla larga da questa sceneggiatura fallace e confusa, certo non aiutata dall’inesperienza da regista del suo autore. Giova ricordare che Synecdoche, New York è del 2008 e allora sorge spontanea la domanda: se ne sentiva il bisogno della distribuzione a sei anni di distanza, sull’onda della morte (e sorvoliamo sul cattivo gusto) di Philip Seymour Hoffman? La domanda è retorica, ma evitiamo fraintendimenti: no.
Synecdoche, New York [id., USA 2008] REGIA Charlie Kaufman.
CAST Philip Seymour Hoffman, Samantha Morton, Michelle Williams, Catherine Keener, Dianne Wiest.
SCENEGGIATURA Charlie Kaufman. FOTOGRAFIA Frederick Elmes. MUSICHE Jon Brion.
Drammatico, durata 124 minuti.