Cannes e dintorni, Milano, 13-19 giugno 2014
Molto fumo e molto arrosto
Negli anni Xavier Dolan ha maturato un piccolo teorema del successo – sperimentazione + intensità – che spesso ha imbambolato la critica, inaridendo il dibattito a triste diaspora per cui chi ama il giovane regista canadese è nel giusto e chi non riesce a farsi agganciare ha bisogno di cure.
Forse verso Dolan occorre una critica che sappia collocarsi nel mezzo, quel “giusto mezzo” che il regista detesta e che, proprio non assecondandolo, può fare da contraltare all’esperienza della visione. Approcciando Mommy, suo ultimo lungometraggio e Premio della Giuria a Cannes, si ha ugualmente l’impressione di essere di fronte a un grande lavoro. Gli amori immaginari dei primissimi film, l’essenza laboratoriale di Laurence Anyways, gli scorci di inquietudine e violenza che abitavano Tom à la ferme trovano qui una sintesi prodigiosa e stimolante, dove forma e contenuto, seppur amplificati fino allo spasimo, finalmente sembrano coincidere. La storia di Diane, madre single incapace di gestire la propria vita, e di suo figlio Steve, adolescente fuori controllo e costantemente diviso tra realtà domestica e istituti psichiatrici, pare trovare un barlume di equilibrio quando nel loro rapporto è coinvolta Kyle, vicina di casa balbuziente e infelice – a dirla tutta, il personaggio più riuscito – assetata di contrasti forti e dunque, almeno per un breve periodo, destinata a ritrovare la vita. La storia del film segue, al solito, un arco narrativo non tradizionale, dove le idee di struttura, linguaggio e recitazione sono portate costantemente sopra le righe: in Mommy non esistono scene di passaggio, ogni momento è una travolgente scena madre. È sensazionale anche la soluzione del formato: un 1:1 che soffoca i personaggi escludendo il fuori campo ma che, nei momenti di ritrovato respiro, si dilata nuovamente a comprendere il mondo. Violenza, ironia, ritmo, colori, immagini quasi sempre uniche compongono questo triangolo privato costruito per emozionarsi e per emozionare, privo di risvolti sociologici e, potremmo osare, di un legame con la realtà. Per chi scrive, il film diventa così un enorme contenitore di buone domande, ma anche di debiti malcelati e occasionali lacune: nella battaglia ininterrotta che mette in campo, Dolan si appella a mondi non propri – quanto Cassavetes c’è qua dentro? – e come tale va anche smascherato: se il film è un’occasione per mettersi a nudo, allora i vincitori morali di Cannes sono Olivier Assayas e perfino Alice Rohrwacher, mentre Mommy resta una bellissima operazione di collage sensoriale, ora riuscitissimo ora quasi scocciante – un abuso molto furbo della musica extradiegetica – dove lo sguardo e il cuore risultano come sfondati, non accresciuti. Operazione legittima, ma a fine film è davvero possibile trattenere dentro ciò che si è visto?
Mommy [id., Francia 2014] REGIA Xavier Dolan.
CAST Anne Dorval, Suzanne Clément, Antoine-Olivier Pilon, Alexandre Goyette, Patrick Huard.
SCENEGGIATURA Xavier Dolan. FOTOGRAFIA André Turpin. MUSICHE Noia.
Drammatico, durata 139 minuti.