Nel nome del Figlio
A prima vista, Gebo e l’ombra è un’operina piccola piccola. Lieve, appena sussurrata, destinata a sfilare dalla memoria come la sabbia fra le dita di una mano. Con passo lieve ed elegante la cinepresa ci accompagna nella misera dimora del contabile Gebo, che alla fine del 19esimo secolo continua a lavorare nonostante l’età per mantenere la famiglia.
Sembra tutto immediato, diretto e facile, ai limiti della banalità: mentre Gebo conta il danaro della giornata, sua moglie Doroteia e sua nuora Sofia si disperano perché da tempo non hanno più notizie del figlio/marito Joao. Ormai sanno che il ragazzo è un poco di buono, probabilmente immischiato in furti e altri affari loschi, eppure ne attendono il ritorno come fosse un salvatore. Immediatamente, mentre il trio di personaggi in scena discute, litiga e si affloscia sulla monotonia di una vita povera che non sembra portare mai buone nuove, viene in mente Aspettando Godot di Samuel Beckett. Cosa aspetta la famiglia in pena, un evento reale o l’apparizione ideale di un miracolo inesistente? Passano i minuti, e finalmente l’oggetto di cotanta attesa fa il suo ingresso nella casa. L’equilibrio cui in fondo eravamo già abituati viene sconvolto, perché Joao è incontenibile: ringhia contro tutti, disprezza l’accoglienza del focolare domestico e riafferma la sua natura di ladro. A tal punto che senza il minimo scrupolo fuggirà nuovamente dopo aver rubato i soldi al padre, costringendo quest’ultimo a nascondere alla moglie – illusa che il giovane si redima – la truffa di cui sono stati vittime. Adattando l’omonimo testo teatrale (datato 1923) di Raul Brandao, il pluri-centenario de Oliveira inserisce, rispetto alla piéce originaria, la povertà come elemento predominante della narrazione e rinchiude i personaggi in un contesto minimalista e vincolante, obbligandoli spesso a recitare all’interno di piani-sequenza particolarmente lunghi. Con tenui ma significativi tocchi teatrali e pittorici il regista ci consegna una moltitudine di tableaux vivants che sottilmente rivelano qualcosa di non visto, di invisibile allo sguardo: una sorta di “filosofia della povertà” che attraverso la capacità espressiva degli attori (Michael Lonsdale, Claudia Cardinale, Jeanne Moreau: cast straordinario) lega il film persino all’espressionismo, all’arte astratta. La storia di miseria e onestà del povero Gebo punta dritta ai tarli della contemporaneità, e permette a de Oliveira di proseguire il suo discorso austero e “parlato” sul mistero dell’esistenza. Un discorso che permane lucido, rigoroso e universale, inchiodandoci a una verità innegabile: la società era, è e sempre sarà dominata dal denaro, dio minore di fronte al quale l’umanità stessa perde di significato.
Gebo e l’ombra [O Gebo e a Sombra, Portogallo/Francia 2012] REGIA Manoel de Oliveira.
CAST Michael Lonsdale, Claudia Cardinale, Leonor Silveira, Ricardo Trepa, Jeanne Moreau.
SCENEGGIATURA Manoel de Oliveira. FOTOGRAFIA Renato Berta.
Drammatico, durata 95 minuti.