BRASILE 2014 – SPECIALE MONDIALI DI CALCIO
Presente e futuro
In nome del popolo italiano non è solo il miglior film di Dino Risi degli anni Settanta (e di tutta l’ultima parte della sua carriera), quello che più può essere paragonato al periodo di maggiore forma del regista, cioè i primi anni Sessanta de I mostri, Il sorpasso e di Una vita difficile, ma anche uno dei meno conosciuti e celebrati.
In nome del popolo italiano è anche un film di un’attualità paurosa e di una lungimiranza incredibile, che, con poche differenze, sarebbe tranquillamente potuto essere girato negli anni Novanta e nei primi Duemila. Qui Risi dimostra e conferma infatti di avere l’occhio lungo su come la società italiana si stava evolvendo, e verso quale destinazione era diretta, prevedendo molto di quello che avremmo letto sui giornali venti, trent’anni dopo, a partire dallo scontro tra il magistrato intransigente tutto d’un pezzo e il grande imprenditore altrettanto tutto d’un pezzo nella sua furfanteria esibita e un po’ cialtronesca. Rivedendo il film oggi alla luce delle cronache politiche e giudiziarie che dal 1994 si ripetono più o meno sempre uguali, inevitabilmente il pensiero va a quella persona il cui nome Walter Veltroni nel 2008 non voleva pronunciare e allo scontro con la magistratura: e più in generale allo scontro senza se e senza ma tra due Italie diverse e inconciliabili, elemento meno banale da prevedere e che invece Dino Risi già allora rappresentava come ormai inevitabile. In un Bel Paese che già in quegli anni iniziava ad essere sempre meno tale, per colpa di un abusivismo edilizio e di una sporcizia diffusa – elementi rappresentati in maniera quasi espressionista, simboli iconici di un degrado più vasto – Risi allo stesso tempo analizza chirurgicamente la società coeva e usa la palla di cristallo per il futuro, certamente non prendendo le parti dell’imprenditore arruffone, criminale nel pubblico e meschino nel privato, ma non cadendo neanche nell’errore di fare del magistrato né un santo né un eroe: anche la toga passa sotto le forche caudine del sarcasmo di costume risiano, da questo punto di vista prevedendo certi eccessi e prese di posizioni indiscutibili di frange del potere giudiziario. In nome del popolo italiano è un film disincantato, acuto e pessimista che, come la scelta finale del magistrato dimostra, non dà segni di speranza, come se il destino dell’Italia fosse già irrimediabilmente scritto. Infine: che c’entra quest’opera con uno Speciale sul calcio al cinema? C’entra, perché il magistrato sceglie di fare quello che fa nel finale (nessuno spoiler per chi non l’avesse visto) proprio assistendo alle reazioni del popolo italiano alla vittoria della nazionale sull’Inghilterra (che avverrà solo nel 1973, due anni dopo l’uscita del film, altra acuta predizione di Risi): disgustato, un po’ per snobismo preconcetto e un po’ giustificato da certe esagerazioni, associa la figura dell’odiato imprenditore, diventato per lui un’ossessione, al tifoso medio che lo disgusta, per lui altro simbolo del degrado del Paese.
In nome del popolo italiano [Italia 1971] REGIA Dino Risi.
CAST Ugo Tognazzi, Vittorio Gassman, Eli Galleani, Yvonne Furneaux, Enrico Ragusa.
SCENEGGIATURA Age e Scarpelli. FOTOGRAFIA Sandro D’Eva. MUSICHE Carlo Rustichelli.
Commedia/Drammatico, durata 99 minuti.