14 GIUGNO, COMPLEANNO DI ALEKSANDR SOKUROV
Boia Faus(t)
La vittoria del Faust di Sokurov alla 68a Mostra del Cinema di Venezia rilanciò nel 2011 la querelle mai del tutto sopita sull’utilità “intellettuale” dei festival internazionali. A chi servono, a cosa servono? Sono vetrine necessarie per favorire i film successivamente distribuiti in sala o sono enormi masturbazioni di massa tra gli addetti ai lavori?
La pellicola del maestro Aleksandr Sokurov, visionaria e sperimentale meditazione sul Male che si allontana dalla dialettica ambizione/castigo del Faust goethiano, è cinema oltre i confini del cinema, opera d’Arte che sfrutta il medium cinematografico come semplice veicolo e non come fine. È simbolismo, (con)fusione tra fiction e documentario, è avanguardismo e al contempo umanesimo filologico. Tra indiscutibile matrice pittorica – l’iconografia del film fa riferimento ad un villaggio dell’Europa centrale di inizio ‘800, stremato dalle guerre – e necessità quasi tormentata di indagare l’esistenza, l’autore dietro la macchina da presa non ci aiuta. Ma del resto è lui stesso a dircelo: “non è il cinema che ha bisogno dello spettatore, ma il contrario: lo spettatore ha bisogno del cinema”. Cinema come riflesso deformante – e deformato, deforme – della vita. Non a caso le due ore e 20 minuti di fitto dialogo tra Faust e Mefistofele (che in realtà si chiama Mauricius, fa l’usuraio ed è un personaggio ripugnante che dice di credere in Dio ma forse mente) si aprono con la visione di uno specchio: è lì che dobbiamo guardare, perché lì è racchiusa tutta l’umanità. Cioè noi. Cioè il mondo, luogo sozzo e putrido, fondato su dogmi amorali e illogici. Il dottor Faust aspira al Potere, uomo condannato ad essere uomo ma che vorrebbe essere qualcos’altro. Come Hitler, Lenin e Hiroito. Sokurov chiude la sua Tetralogia (Moloch, 1999; Taurus, 2000; Il Sole, 2005), e ci fa sentire piccoli, infimi. La Storia (con la “s” maiuscola) è fatta di nefandezze e patti con un diavolo (con la “d” minuscola) che esiste solo in quanto metafora della meschinità, condotta da persone che bramano l’Assoluto ma che non possono far altro che confrontarsi con la finitezza e i bassi istinti insiti nella natura umana. Nella sequenza finale (girata in Islanda sul cratere del vulcano Eyjafjallajokull, poco prima dell’esplosione) Faust si trova a suo agio, deciso a procedere nella sua ricerca: redenzione, morale ed etica non esistono. O peggio ancora, non servono a nulla. Il moralista, modernista e raffinato Sokurov ci (e si) osserva, mostrandoci con disarmante abilità e frastornante chiarezza ciò che siamo. Umani, inevitabilmente troppo umani.
Faust [id., Russia 2011] REGIA Aleksandr Sokurov.
CAST Johannes Zeiler, Stefan Weber, Anton Adasinsky, Hanna Schygulla.
SCENEGGIATURA Aleksandr Sokurov, Marina Koreneva, Yuri Arabov (tratta dall’opera omonima di Johann Wolfgang von Goethe). FOTOGRAFIA Bruno Delbonnel. MUSICHE Andrey Sigle.
Drammatico, durata 134 minuti.