Odiosa fin che si vuole in termini di concentrazione economica e aggressività sul mercato, Sky andrà pubblicamente ringraziata per come sta svecchiando il pantano della narrazione seriale televisiva italiana. Romanzo criminale e altri prodotti (compreso uno degli adattamenti più sottili e riusciti, In Treatment) avevano già alzato l’asticella della qualità. Ora con Gomorra si arriva a livelli di eccellenza.
La riuscita è collettiva: la serie funziona per la scrittura, per la recitazione (non esente da imperfezioni, ma tesa e senza birignao), e soprattutto per il comparto tecnico-stilistico. Dalle luci al montaggio, dalla colonna sonora alla scenografia, ogni cosa si trasforma in elemento narrativo e contribuisce, anche grazie alla consapevolezza dell’HD, a far raggiungere all’opera di Sollima livelli di eccellenza. Qualcosa di simile aveva fatto negli anni Novanta il dimenticato Michele Soavi (pensiamo all’ottima Uno Bianca) dando vita a un primo svecchiamento, proveniente dall’area Mediaset. Ora l’adeguamento agli standard internazionali sembra completato. Non ci potremo in futuro aspettare grandi novità dalle fiction di Rai Uno (mai dire mai…), ma almeno il colosso Sky Europa – ormai dobbiamo intenderlo così – dà filo da torcere al prodotto statunitense.
Resta una domanda: queste forme narrative sono applicabili a qualsiasi contesto? È immaginabile un House of Cards italiano dove uno spietato sottosegretario del PD complotta e determina le sorti del Paese convincendo uno pseudo-Renzi a fare come dice lui, e fottendo parlamentari dell’NCD o di Scelta Civica? Vedremo con l’imminente 1992 se (r)esiste solo il filone denuncia civile o se possiamo davvero trovare epica laddove troviamo quasi sempre solo ridicolo. E ancora: è immaginabile un Mad Men italiano dove creativi degli anni Sessanta fanno a gara nel lanciare slogan per Cinzano, Dixan o Simmenthal oppure dovremo sempre accontentarci di robe come la biografia di Olivetti con Zingaretti?
Non è facile. In Italia la cronaca ha sempre soffocato l’epica, e guarda caso i due prodotti epici più importanti (i già citati successi di Sollima) sono ambientati nella malavita. L’idea è stata quella di enfatizzare il sottobosco romano e l’enclave criminale napoletana come oggetti spuri, come mondi a sé stanti, come acquari da osservare a distanza. Ma appena il tema diviene nazionale, e lo spettatore accorcia la distanza con la vicenda pubblica, la sensazione è che rimaniamo vittime del provincialismo nostrano, secondo cui a ogni oggetto politico o sociale corrispondono immediatamente una mondanizzazione, una parodia, uno sberleffo.