SPECIALE DAVID CRONENBERG
Fantasmi del passato
In concorso al Festival di Cannes 2014, Maps to the Stars ammalia, inquieta, qualche volta lascia un po’ interdetti, ma alla fine conquista, mostrandosi come uno dei risultati migliori raggiunti da Cronenberg almeno da A History of Violence in poi.
La “mappa” del titolo è quella del lato più in ombra di Hollywood, delle sue star ossessionate e folli, dei baby divi drogati e bruciati, dei guru egoisti e meschini e di tutti quelli che vivono nel sottobosco dorato della Mecca del cinema. Mondo sconvolto dall’apparizione di fantasmi reali e presunti, immaginati e concreti, figli di un passato ormai irrimediabilmente radicato con le sue devastanti conseguenze. L’ultima fatica del regista canadese parte come commedia grottesca e ironica, ma presto rivela quello che è il suo genere – tenendo presente che è un film dalle molteplici strade narrative e dalle molteplici chiavi di lettura – fondante, anche se non esplicito: il melodramma familiare, tragico e senza speranza, mascherato prima da commedia e poi da horror. Sono infatti tare familiari ereditate dal passato, radicate e maturate negli anni e nei decenni, a determinare le ossessioni, le schizofrenie, le paure e le follie che agitano i protagonisti. Come nello schema più classico della tragedia, il passato prima o poi presenta il conto, e le colpe dei padri e delle madri ricadono irrimediabilmente sui figli. E tanto più le colpe sono gravi, quasi indicibili, tanto più sono devastanti gli effetti. Cronenberg quindi mette in scena un mondo in cui le ossessioni sono già sviluppate, la malattia è già in fase irreversibile, la pazzia è già dominante. Non c’è, come soprattutto nella prima fase della sua carriera, il racconto di una distruzione che nasce e si evolve; qui, come in Cosmopolis, serve solo qualcosa che scateni quello che è già irrimediabilmente radicato, nascosto sotto la maschera del lusso, del successo e del vizio. Ecco quindi il ruolo necessario dei fantasmi, immaginati o concreti che siano, gli unici che possono scoperchiare il vaso di pandora dei traumi e delle ossessioni e a rendere evidente il disfacimento di un mondo, quello del dietro le quinte di Hollywood, marcio e insalubre fino al midollo, ma allo stesso tempo capaci anche di fornire una “metafisica” via di fuga e un’estrema possibilità di essere liberi a chi di questo mondo, troppo presto, ha iniziato a subire gli effetti. Se all’inizio il regista canadese non sembra sempre a suo agio con il tono grottesco, rischiando – pur con più di una frecciata arrivata al bersaglio – di sfiorare il ridicolo invece di rappresentarlo, man mano che si avvicina ai territori più tipicamente cronenberghiani Maps to the Stars diventa sempre più potente ed efficace. Alla fine anche quei momenti iniziali all’apparenza stonati risultano aderenti al senso del film, contribuendo ad una delle più inquietanti, pregnanti e spaventose ricognizioni sulla devastazione di un mondo degli ultimi anni. E ad un film bellissimo.
Maps to the Stars [id., USA/Canada/Francia/Germania 2014] REGIA David Cronenberg.
CAST Mia Wasikowska, Julianne Moore, Evan Bird, John Cusack, Robert Pattinson.
SCENEGGIATURA Bruce Wagner. FOTOGRAFIA Peter Suschitzky. MUSICHE Howard Shore.
Drammatico, durata 111 minuti.