Se la scorsa edizione del Far East Film Festival di Udine era stata particolarmente rappresentativa di
ciò che è e accade nel cinema asiatico, questa sedicesima tappa è stata una sorta di percorso di
transizione nonostante avesse una quantità di titoli qualitativamente rilevanti sopra la media.
Quindi assenza di una retrospettiva (sostituita da un pacchetto di restauri trasversali ai Paesi), assenza di horror puri e di un horror day (ormai da anni, certo), ma avvento di una rappresentanza di documentari di alterna fattura e interesse e posizionamento dei film nel palinsesto a blocchi abbastanza netti; il primo fine settimana era votato al cinema di Hong Kong, il finale a titoli coreani. Nel mezzo si faceva notare una quasi assenza preoccupante del cinema thailandese (un Paese sempre molto rappresentato nel palinsesto) con un solo titolo e una sovrabbondanza di opere filippine a sottolineare una sorta di new wave che non trovava assolutamente riscontro nei titoli presentati. I due colpi più robusti sono arrivati da opere prelevate con lungimiranza dal Festival di Berlino; l’Orso d’Oro di Black Coal, Thin Ice fa rima con il Leone d’Argento del 2011 a People Mountain, People Sea e il significato è abbastanza lapalissiano; quando il cinema cinese si allontana dai blockbuster ipereffettati, veri (e legittimi) atti di guerra contro Hollywood e produce un cinema indipendente più tagliente riesce a sfornare capolavori. Processo che avviene in effetti in ogni cinematografia dove i grandi film perdono anima in virtù di un pubblico di massa e i piccoli oggetti sono ancora vivi e vitali. Non è andata sempre così però e il cinema di Hong Kong del ventennio ’80/’90 ce l’ha rimarcato più volte, quando anche i kolossal potevano essere, e spesso lo erano, anche coraggiosi e intelligenti. Da Hong Kong infatti (e sempre dal Festival di Berlino) arrivava l’altro diamante dell’edizione, il The Midnight After di Fruit Chan, opera immensa, complessa e frastornante e un altro titolo robusto, l’Aberdeen di Pang Ho-cheung che dopo un pugno di regie di successo ma più esili e grossolane con questo film rivela la mano dei grandi autori. Altra sorpresa, Tamako in Moratorium, nuova regia dell’autore di Linda Linda Linda, oggetto intimo e delicato, personalissimo nella progressione narrativa, unico tra decine di oggetti romantici o sentimentali a innalzarsi e differenziarsi dalla media. Ottima la rappresentanza coreana con lode per i riusciti The Terror Live e il remake Cold Eyes e abbondante sufficienza per l’altalenante Broken e uno dei vincitori del Festival, The Attorney. I due film di Dante Lam erano uno una inattesa delusione (That Demon Within) e l’altro una inaspettata sorpresa (Unbeatable). Primo premio all’intenso The Eternal Zero che, toccando il tema dei kamikaze, ha prodotto opinioni accese e contrapposte (e pretestuose) al Festival come in patria.