Prigione bucolica
La monotonia di una certa provincia contro il desiderio di vivere ardenti passioni, il conformismo borghese composto da sole certezze contro la libertà di dubitare, l’ossessivo mantenimento delle apparenze contro il coraggio di non seguire soltanto una logica prestabilita.
Queste sono alcune delle problematiche affrontate da Thérèse Desqueyroux, l’ultimo film Claude Miller presentato al 65° Festival di Cannes e tratto dall’omonimo romanzo del 1927 di François Mauriac. Ambientata negli anni ’20, l’opera racconta la vicenda di Thérèse, una ragazza alto borghese che sposa il fratello della sua migliore amica, un possidente di una vasta tenuta di pini. La quotidianità coniugale procede monotona e senza soddisfazioni, mentre la protagonista si accorge di essere attratta da un altro uomo e, soprattutto, di volere una vita più libera e intensa. Per questo Thérèse avrà la tentazione di avvelenare il marito. Il ritmo narrativo disteso e la cura per i dettagli rendono evidente quanto all’autore interessi ricostruire meticolosamente il periodo storico e descrivere in modo critico e preciso i riti e le norme della vita matrimoniale di provincia: il marito che conta fastidiosamente ad alta voce le gocce di medicina, i pranzi in cui non si può discutere di politica se si è in divergenza e il freno posto a ogni desiderio che non sia conforme alle convenzioni ne sono degli esempi lampanti. Solo la natura bucolica che circonda tale contesto sembra avere una sua innegabile bellezza, ma anche questo spazio rischia di diventare progressivamente una sorta di prigione dalla quale si vorrebbe fuggire per noia e soffocamento. Gli elementi per provare empatia per la protagonista ed essere coinvolti nel suo disagio dunque non mancano, eppure la messa in scena di Miller e l’interpretazione di Tautou bloccano con la loro freddezza tali possibilità. Infatti, il cineasta adotta una prospettiva complessivamente distante e distaccata, con una regia statica e piuttosto rigorosa, che solo in pochi e fugaci momenti si concede qualche tocco lirico e poetico. Anche la performance della protagonista non suscita alcun trasporto allo spettatore, a causa di un volto spesso serio e rigido, che riesce a esprimere soltanto una generale insofferenza. Risulta dunque evidente che ci troviamo di fronte a un film almeno in parte più concentrato e riuscito nel ritratto storico e sociale dei rituali di un’epoca che nella narrazione empatica delle vicende di un personaggio e delle sue evoluzioni psicologiche. Un elemento curioso e discutibile, ma complessivamente giustificabile in un’opera sul desiderio (quasi) frustrato di una vita emotivamente intensa.
Thérèse Desqueyroux [id., Francia 2012] REGIA Claude Miller.
CAST Audrey Tautou, Gilles Lellouche, Anaïs Demoustier, Isabelle Sadoyan, Catherine Arditi.
SCENEGGIATURA Claude Miller, Natalie Carter (dall’omonimo romanzo di François Mauriac). FOTOGRAFIA Gérard de Battista. MUSICHE Mathieu Alvado.
Drammatico, durata 106 minuti.