L’altra faccia dell’India
È risaputo ormai che l’industria cinematografica indiana è la più grande del mondo, supportata da un sempre maggior interesse nei confronti del suo cinema e a cui sono dedicati numerosi festival internazionali.
Ma ad una crescente diffusione su larga scala si contrappone a quanto pare una mancanza di equilibrio interno, dal momento che le produzioni più commerciali e facilmente esportabili – Bollywood su tutte – tendono a sovrastare le numerose cinematografie regionali minori, spesso lontane dal mainstream e per questo considerate poco rappresentative del cinema indiano all’estero. Problema, quest’ultimo, che abbastanza regolarmente si presenta, oltre che per la scelta dei film ai festival, soprattutto in occasione delle nomination agli Oscar. Ma, come si dice, c’è sempre l’eccezione che conferma la regola: si tratta proprio di The Good Road, piccola produzione che in tal senso è riuscita a vincere una sfida quasi impossibile, apparentemente già persa in partenza. Preferito difatti al favorito Lunchbox – pellicola più vicina ai toni da commedia occidentale e forte della distribuzione americana con Sony –, l’opera prima di Gyan Correa è stata scelta come rappresentante dell’India a concorrere come miglior film straniero agli ultimi Academy Awards, scatenando non poche polemiche. The Good Road è un dramma con un’impostazione da road movie, in cui la strada diventa il luogo del confronto, della crescita e della conoscenza interiore; palcoscenico su cui prendono vita paure e desideri dei protagonisti, interpretati per lo più da attori non professionisti. La struttura si basa sull’intreccio di tre storie diverse, che attraversano le terre rurali del Rann di Kutch nello stato indiano di Gujarat, sul confine occidentale col Pakistan. E confinati, sembrano essere i singoli personaggi, in una sorta di microcosmo – come lo ha definito Correa – rappresentato da questa regione desertica e inospitale. Un mondo chiuso su se stesso, segnato da evidenti problemi sociali, che la pellicola indaga con gli occhi “della povera gente, le cui voci normalmente non vengono ascoltate”. La voce di Pappu, un camionista ormai stanco di assecondare i commerci illeciti di un boss malavitoso, risuona così in quella di due bambini: Aditya e Poonam, entrambi provenienti dalla città ed entrambi con la stessa meta. Il primo sarà il motivo scatenante della presa di coscienza dell’uomo e la seconda gli fornirà l’occasione per attuarla. Destini dunque incrociati, in viaggio su autostrade che, “come condotti per la circolazione di idee e culture”, raffigurano al meglio l’idea moderna di un cinema democratico e pluriculturale, dove i film non si fanno solo nei grandi studios. E che ben vengano allora le nuove sfide.
The Good Road [id., India 2013] REGIA Gyan Correa.
CAST Ajay Gehi, Rinkle Karelia, Keval Katrodia, Sonali Kulkarni, Shamji Dhana Kerasia.
SCENEGGIATURA Gyan Correa. FOTOGRAFIA Amitabha Singh. MUSICHE Rajat Dholakia.
Drammatico, durata 92 minuti.