A metà strada
All Things to All Men è un action-thriller che non interessa e non coinvolge emotivamente lo spettatore, né con le sequenze d’azione, né con la costruzione dei personaggi. Risultato di una scelta d’autore o fallimento di un’operazione che avrebbe dovuto essere appassionante? Le due ipotesi convivono.
Infatti, il regista George Isaac cerca di rendere il suo lavoro intrigante e riflessivo allo stesso tempo, ma purtroppo non ci riesce quasi mai, nonostante le possibilità che ha davanti: la trama d’inseguimento tra “guardie e ladri” sarebbe interessante se non fosse eccessivamente intricata; il ritmo narrativo risulta incessante, ma è talvolta interrotto da pause e lentezze non sempre necessarie; le sequenze d’azione sono ben girate, ma mai particolarmente spettacolari e dominate soprattutto da un sottofondo musicale invadente; i personaggi hanno risvolti personali e intimistici, ma che nella maggior parte dei casi vengono solo superficialmente accennati. Se tutto ciò è dovuto alla difficoltà del cineasta di unire i plurimi elementi del film o di compiere, in alternativa, una scelta netta tra intrattenimento e “impegno”, è necessario affermare che l’assenza di empatia e di coinvolgimento risulta almeno in parte voluta e giustificata. Non è un caso, per esempio, che nessun personaggio possegga almeno un po’ di simpatia: nel mondo tratteggiato dal regista tutti agiscono solo per i propri scopi egoistici, che siano dettati da questioni economiche o da problemi più intimi e personali. In tal senso, l’aspetto più interessante dell’opera è la quasi totale equiparazione tra i poliziotti e i trafficanti, tra le forze dell’ordine e i criminali, non solo nei mezzi illeciti e violenti, ma anche nei fini: infatti, si scopre gradualmente quanto Parker – il detective che guida l’indagine – sia corrotto e corruttibile come, e forse più, di coloro che dovrebbe combattere. Atteggiamento che, almeno nei metodi, viene complessivamente accettato anche dai piani alti di Scotland Yard, come scoprirà il giovane investigatore Dixon. Inizialmente secondario, tale personaggio è l’unico che subirà un’evoluzione psicologica interessante: da ligio e vulnerabile poliziotto a cinico e violento tutore dell’ordine costituito. Fare il detective è dunque un lavoro sporco, sembra suggerire Isaac, con un film a metà strada tra la pura evasione e la critica al sistema, tra musiche roboanti e piccole pause riflessive. Tutti elementi non sempre coniugati al meglio, che nel complesso indicano più uno smarrimento linguistico che una consapevole intenzione autorale.
All Things to All Men [id., Gran Bretagna 2013] REGIA George Isaac.
CAST Toby Stephens, Rufus Sewell, Mark Badham, Gabriel Byrne, Leo Gregory, Gil Darnell.
SCENEGGIATURA George Isaac. FOTOGRAFIA Howard Atherton. MUSICHE Thomas Wanker.
Thriller, durata 86 minuti.