SPECIALE LARS VON TRIER
Il Dogma brechtiano
Un’opera monumentale in nove capitoli e un prologo, raccontata dalla voce off di un narratore onnisciente. Omaggio al teatro epico di Brecht, ma senza l’ironia che, secondo il drammaturgo tedesco, “è l’unico modo per dire la verità”.
L’algida Grace, sfuggita all’inseguimento di alcuni gangster, trova rifugio nella sonnolenta cittadina di Dogville. Si integra presto nella placida comunità e impara a collaborare attivamente: sarchia arbusti di uva spina, aiuta il burbero Chuck a raccogliere mele prendendosi cura dei suoi figli. Quando gli abitanti scoprono che c’è una taglia sulla sua testa, gli eventi precipitano e il prezzo da pagare sarà controbilanciato dalla logica della compensazione. La protezione garantita dagli autoctoni esigerà tributi sessuali e prove di varia natura, fino al forzoso assoggettamento schiavista. Lars Von Trier, che già con Dancer in the Dark si era allontanato dal Dogma 95, decreta con Dogville la fine di un ideale e di una poetica. Luci artificiali, sofisticazione ed estetismo conducono a un nuovo linguaggio cinematografico che apre la via all’affabulazione e alla contaminazione col dramma epico: le vie del paese sono disegnate, le case e gli alberi solo immaginati, come parte del mobilio e dell’arredamento. Tutto è visibile a tutti, metafora del voyeurismo attraverso cui è rivelata la crudeltà delle relazioni sociali di cui è vittima Grace, una sgomenta e sommessa Nicole Kidman che, in seguito alla sopraffazione collettiva, incarna la morale stoica divenendo capro espiatorio. Lo straniero è bandito, altrimenti soggiace al martirio condiviso. Se Anghelopoulos usò l’ironia come strumento critico per dire la verità sulla spietatezza degli esseri umani, “cani tra i cani”, il regista danese offre una rilettura fredda e intellettuale del branco nella città-archetipo statunitense anni venti. Usa Brecht per irridere l’American Dream, distaccando lo spettatore dai personaggi in forza dello straniamento in un ambiente scarno, i cui elementi essenziali sono segnati con gesso bianco sulla mappa di un teatro di posa. L’audace sfida alla morale precostituita riluce nell’artefatta illuminazione scenica in cui è scolpita l’irreversibile crisi del singolo e del gruppo sociale: uno “shock estetizzante” in cui si decostruisce, senza universalizzarlo, il crudele microcosmo umano di un piccolo paese nel periodo della Grande Depressione. Come narrato dalla voce fuori campo nel finale, ad una luce prima clemente, anche il subentrare improvviso del chiaro di luna si rifiuta di mascherare la cittadina e il male annidatosi all’interno: il trionfo delle tenebre rischiarato da un’indagine nichilista e spregiudicata.
Dogville [id., Danimarca/Francia/Svezia/Norvegia 2003] REGIA Lars Von Trier.
CAST Nicole Kidman, Paul Bettany, Stellan Skarsgård, Harriet Andersson, Lauren Bacall.
SCENEGGIATURA Lars Von Trier. FOTOGRAFIA Anthony Dod Mantle. MUSICHE Per Streit.
Drammatico, durata 178 minuti.