SPECIALE MODA AL CINEMA
Essere prima di apparire
Strepitoso successo commerciale – oltre 326 milioni di dollari di incasso a fronte di un budget dieci volte inferiore – Il diavolo veste Prada è sì una brillante comedy ambientata nel mondo della moda, forte delle star hollywoodiane che ne sono protagoniste, spettacolare esercizio di ritmo e superficie: ma rivela anche, dietro alla propria riuscita, un millimetrico e sapiente piano regia, che abbracciando con ironia l’eterno conflitto tra essere e apparire, non rinuncia a indagarlo a partire dal linguaggio.
Lo capiamo subito dai titoli di testa, come giustamente descrive Giovanni Covini nel suo anti-saggio Le ferite dell’eroe: “fox 2000 pictures. Scritto minuscolo, con un font da comedy, in colore rosso. Presents, scritto in giallo, corsivo, con un font diverso ma sempre del mondo comedy. fox 2000 pictures si muove lentamente verso destra, Presents si muove lentamente verso sinistra. fox 2000 pictures è il soggetto, Presents il predicato verbale. Il soggetto diverge dall’azione. Tu non sei quello che fai.” Così dietro a tutti i meccanismi di sottrazione tipici della sophisticated comedy, basata su gesti minimali, sguardi che dicono più di mille parole e battute tanto più efficaci quanto più asciugate, David Frankel impone alla propria regia di non descrivere semplicemente il percorso formativo e umano della dolce e sprovveduta Andy nelle redazione di Runway, ma di sottolineare con la macchina da presa l’incessante dinamica che intercorre tra vergogna, giudizio e senso di inadeguatezza in quelle pratiche culturali – a partire dalla moda – che impongono una scelta capitale: adeguarsi al sistema o rimanere se stessi. Tutto, in questo film apparentemente così convenzionale, risponde in realtà a una logica profonda e molto specifica: è il lavoro sul punto di vista di cui Hollywood oggi può essere capace, dando senso e motivazione a ogni centesimo di puro artificio con cui va a comporre le proprie inquadrature. Apertura film: il primo piano di Andy compare dopo che la sua mano pulisce uno specchio appannato: questa storia racconta della messa a fuoco su noi stessi, di quanto siamo disposti ad amare l’intimità della nostra messa a nudo. Non è un caso che a Andy si contrapponga direttamente Miranda Priestley, il capo supremo, il diavolo che veste Prada: Andy può affrontarla perché, in potenza, ha il suo stesso valore – e infatti la regia ce le presenta in modo identico. Andy e Miranda sono la stessa donna e sono due donne differenti, collocate su poli drammaturgici opposti: senza l’incontro con Miranda e la dolorosa necessità di un incessante primato, Andy non potrebbe mai diventare adulta, dichiarare cioè il proprio posizionamento nel mondo, lasciando alle spalle tutto ciò che ostacola la sua felicità. Siamo in una comedy, tutto questo è possibile.
Il diavolo veste Prada [The Devil Wears Prada, USA 2006] REGIA David Frankel.
CAST Anne Hathaway, Meryl Streep, Emily Blunt, Stanley Tucci, Adrian Grenier, Simon Baker.
SCENEGGIATURA Aline Brosh McKenna. FOTOGRAFIA Florian Ballhaus. MUSICHE Theodore Shapiro.
Commedia, durata 102 minuti.