Il cammino della c(ult)ura
In che modo il contesto culturale o il gruppo etnico di provenienza possono costituire l’area designata al manifestarsi di eventuali disturbi psichici? La disciplina che dal secondo dopoguerra ha cercato di rispondere a tale interrogativo è l’etnopsichiatria.
Tra i suoi pionieri, l’ungherese Gyorgy Dobó, poi naturalizzato francese come Georges Devereux, si è dedicato alle connessioni tra antropologia e psicologia, studiando numerose popolazioni indigene. Approfondendo gli studi psicanalitici negli Stati Uniti, Devereux rimane affascinato dai nativi indiani divenendone il più riconosciuto esperto. L’incontro con Jimmy Picard, un paziente della tribù dei Blackfeet, si rivelerà un’esperienza significativa e lo scritto Psychotherapy of a Plains Indian sarà un grande contributo per lo sviluppo dell’intera branca nascente. Jimmy P., prima pellicola americana del francese Arnaud Desplechin, porta sullo schermo la storia di questo rapporto. Un rapporto anzitutto d’amicizia prima che terapeutico, sottolineando dunque il ribaltamento del concetto tradizionale del contro-transfert teorizzato dallo studioso, non più visto come ostacolo alla guarigione, bensì come mezzo per l’analista tramite cui conoscere più a fondo se stessi. Sicuramente lo psicologo transalpino riusciva bene a identificarsi nei suoi pazienti, condividendo con loro l’esperienza dell’emarginazione. Così come Jimmy Picard si è fatto carico di un passato segnato dalle violenze coloniali, anch’egli, ebreo errante, ha conosciuto il peso della persecuzione, condizione chiave per comprendere la sua teoria sulla rinuncia all’identità come difesa. Tutto ciò pare non affiorare però nel film di Desplechin, rimanendo velatamente oscurato, a favore di una struttura essenziale e discorsiva. Jimmy P. si presenta infatti come un vero e proprio percorso analitico, la messa in scena di un’indagine dell’animo umano, il cui punto di forza è una regia meticolosa ed incisiva, adornata dalle efficaci soluzioni tecniche delle scene oniriche – con tanto di brillante omaggio all’Hitchcock di Io ti salverò – , attraverso le quali meglio ci addentriamo nella contorta personalità di Picard. Eppur qualcosa sembra mancare. La scelta registica di focalizzare totalmente l’opera sull’aspetto umano ed empatico che emerge dalla relazione tra i due protagonisti è andata a discapito di un’enfatizzazione dei concetti cardini del pensiero di Devereux, difficilmente coglibili senza previa conoscenza dell’argomento, limitando in tal modo la rappresentazione, seppur coinvolgente, della vicenda. Ma un merito sicuramente auspicabile e tutt’altro che secondario di Jimmy P., potrà infine esser quello di fare luce su di una figura quasi sconosciuta in Paesi come il nostro, e di certo fortemente attuale per i contesti multiculturali mondiali che via via si vanno sempre più delineando.
Jimmy P. [Jimmy P. (Psychotherapy of a Plains Indian), USA/Francia 2013] REGIA Arnaud Desplechin.
CAST Benicio del Toro, Mathieu Amalric, Gina McKee, Larry Pine, Joseph Cross.
SCENEGGIATURA Arnaud Desplechin, Kent Jones, Julie Peyr. FOTOGRAFIA Stéphane Fontaine. MUSICHE Howard Shore.
Biografico/Drammatico, durata 120 minuti.