Al di là dei singoli gusti in fatto di militanza politica, che cosa possiamo dire della cultura dei nostri leader? Questione spinosa. Schematizziamo un po’. Mai come oggi la cultura erudita e popolare, alta e bassa, riempie la bocca e le dichiarazioni delle figure più in vista.
Renzi, “gggiovane” per eccellenza, non fa altro che citare a raffica programmi televisivi, film, canzoni, arte, con disinvoltura, magari mettendoci un hashtag a fianco, ma pur sempre dimostrandosi del tutto postmoderno quanto a riferimenti e influenze incrociate: gli interessa il voto dei 18-25enni, quello andato massicciamente a Grillo, e fa di tutto per procacciarselo legittimamente. Grillo e Casaleggio, a loro volta, fanno spesso riferimento a cinema e cultura. In questo caso però, complice l’apocalismo del guru, preferiscono scenari foschi e rovinosi, citano spesso sul blog Philip K. Dick e la fantascienza distopica, l’inferno dantesco e il grottesco alla Rabelais, ma anche loro si danno da fare sul terreno dell’allusione letteraria. Berlusconi? Beh, ha prodotto Sorrentino e – volenti o nolenti – opera da oligopolista nel settore cinetelevisivo. A lui, oltre che le critiche, devono andare le lodi per un sistema editoriale che, per dire, ha lanciato Saviano.
Bicchiere mezzo vuoto. Renzi possiede una cultura superficiale e incerta. Da sindaco di Firenze è già stato a lungo bersagliato dagli storici, soprattutto per l’incresciosa ricerca della Battaglia di Anghiari di Leonardo, che secondo le leggende popolari e alcune tesi storiche doveva essere nella Sala dei Cinquecento, lo spazio più importante di Palazzo Vecchio; inoltre il suo Dolce stil novo – La bellezza da Dante a Twitter contiene un tal numero di strafalcioni storiografici e interpretazioni insostenibili che si racconta di storici dell’arte che organizzano letture del volume in consessi privati, dove far scorrere alcool e matte risate. Grillo, che paradossalmente non conosce nulla proprio della cultura informatica e delle regole della democrazia via web, si limita a riferimenti puramente arbitrari, mentre Casaleggio possiede quella forma di erudizione ottusa e intenzionale per la quale si convocano autori e artisti al solo scopo di rafforzare alcune tesi complottiste o millenariste. Le premonizioni farneticanti contenute in Gaia sono buone per partitini mistici e neonazisti nord-europei (quelli dove si dice che Shakespeare era il primo antisemita), non per un movimento da 25% di consensi. Berlusconi? Che dire… Basterebbe sciorinare l’elenco puro e semplice delle sciocchezze pronunciate negli anni, da Romolo e Remolo alla crassa ignoranza intorno a fascismo e lotta partigiana, per rendersi conto di quanto sia privo di ogni nozione di cultura umanistica in senso lato, ma per il desiderio di non dissotterrare ricordi nefasti la finiamo qua.
Ora, il problema non è rubricabile sotto la categoria del “politici tutti ignoranti”, come fosse una puntata delle Iene. Il problema è che, insieme alla debolezza dei nessi con il sapere, si incrosta anche un’altra cultura, che è quella politologica. Ancora una volta ci sono le prove: Grillo non (ri)conosce alcun testo, Renzi scrive impresentabili prefazioni alle riedizioni di Norberto Bobbio, Berlusconi non ha lasciato alcun discorso “alto” e ha ottenuto come unico risultato di farci guardare alla politica come a un esercizio di “problem solving” puramente tecnocratico. Tre leader (magari uno meglio e gli altri peggio, lasciamo al credo politico di ciascun lettore decidere chi), tre fragilità culturali. Che il futuro assetto costituzionale del nostro Paese passi attraverso la sfida (o l’accordo) tra i succitati, indipendentemente da ogni valutazione ideologica, non mi rende affatto sereno. Ma ovviamente parlo solo per me stesso.