19 MARZO: ANNIVERSARI OMICIDI GALLI E BIAGI
Il rimosso di piombo
Il 19 marzo 2002 a Bologna le Nuove Brigate Rosse uccisero Marco Biagi, e il 19 marzo 1980 Prima Linea freddò il magistrato Guido Galli. Il duplice anniversario può essere occasione per un paio di riflessioni sul rapporto tra il nostro cinema e la lunga notte della Repubblica durante gli anni di piombo.
La cinematografia nazionale ha sempre preferito glissare e non fare i conti col fenomeno, e quando l’ha fatto l’ha semplificato scegliendo, con poche eccezioni, determinate e limitate chiavi di lettura: pochi sono i film che parlano dell’argomento, ancora meno quelli che affrontano con coraggio le radici sociali, politiche e storiche. Dire che è un rimosso sarebbe eccessivo, ma non sarebbe neanche così distante dalla realtà. Del resto, il nostro cinema si è sempre trovato più a suo agio nelle rappresentazioni più generali e antropologiche della società, tradendo maggiore imbarazzo nel trattare nello specifico singoli argomenti. Così, se i venti arrabbiati della contestazione, più facilmente metaforizzabili, hanno soffiato su molto cinema di fine anni Sessanta/inizio Settanta (dal western, alla commedia agli esordi d’autore), lo stesso non si può dire delle torve tempeste di piombo. Sottovalutazione iniziale, imbarazzo, disagio e difficoltà nel capire la complessità di un fenomeno caratterizzato da mille rivoli sono state cause decisive, soprattutto immedesimandosi nella parte politica che ha visto nascere e crescere il fenomeno come deriva e incancrenimento di tendenze della sua cultura post ‘68 e post ‘77 (analisi compiuta con grande lucidità da Moretti in La Messa è finita, e da Giordana, acutamente in Maledetti, vi amerò!, con titubanza ne La meglio gioventù). Così, inizialmente riferimenti vaghi si trovano in opere che più in generale rappresentano la percezione diffusa di instabilità e di insicurezza, con la figura del terrorista riflessa in quella del criminale comune -come accade in molti polizieschi- o, ancor più alla lontana, in film che danno una visione apocalittica dell’Italia come Un borghese piccolo piccolo di Monicelli. Poi, c’è stato il punto di non ritorno: l’omicidio di Aldo Moro, la cui enorme portata simbolica sarà esplicita nel Bellocchio di Buongiorno notte. A cavallo del decennio e nei primi anni Ottanta, i film che trattano del terrorismo aumentano. Queste opere (alcune, di per sé, molto riuscite) però scelgono quasi totalmente una lettura molto “privata”, psicoanalitica, centrata soprattutto sullo scontro generazionale padri e figli: è la chiave scelta, per esempio, da Caro papà di Risi, Colpire al cuore di Amelio, La tragedia di un uomo ridicolo di Bertolucci. Se da un lato quest’ottica esprime il disagio, dall’altro sorvola sulle motivazioni e le cause più politiche e sociali, evitando riflessioni sincere e analisi profonde e quasi estrapolando il terrorista dalla Storia. La tendenza, con poche eccezioni molto di nicchia, è rimasta fino ai nostri giorni, come dimostra il recente, e riuscito, La prima linea, ancora troppo sbilanciato sul versante privato. Semplificazioni sono state anche la strategia della tensione vista come omnicomprensiva di fenomeni diversi, e, collegata, l’assenza quasi totale del terrorismo nero della strada e dei movimenti, opposto ma simile per nascita e rivendicazioni al contraltare rosso. Insomma, se gli anni di piombo sono ancora un peso sulla nostra coscienza di nazione, il cinema non ha certo dato una mano a risolvere la situazione.