L’Italia è la patria del doppiaggio. Il nostro Paese ha una tradizione consolidata, un buon numero di professionisti (anche se non poi così alto, visto che nei titoli di coda compaiono sempre i soliti cognomi, quelli delle “stirpi” dei doppiatori, come vuole consuetudine tutta italiana).
Chi frequenta i festival di cinema, chi segue una serie televisiva straniera con una passione tale da non poter attendere la versione – doppiata – italiana delle puntate, si confronta da tempo con le versioni originali sottotitolate, da noi pressoché inesistenti, sia in sala che in televisione.
La domanda è semplice: meglio un bravo doppiatore, capace di ri-creare l’anima di un personaggio e fare innamorare della sua versione molti spettatori, o la voce originale dell’interprete di un film?
Certa di non essere la prima a pormi la questione, faccio un giro sul web e scopro che tre anni fa a occuparsi del tema è un’illustre firma del Corriere della Sera, Sergio Romano. Con stupore, leggo che sta dalla parte del doppiaggio. Spiega dapprima le ragioni storiche dell’affermazione di questo uso in Italia: la incompleta alfabetizzazione del dopoguerra e l’uso di attori non professionisti del Neorealismo, da doppiare in fase di post-produzione. Vero che la conoscenza delle lingue non è favorita da questo fenomeno, ammette Romano, ma l’industria del doppiaggio italiano è di tale qualità che il lato negativo può passare in secondo piano. Due esempi da lui addotti lascerebbero poche obiezioni: Oreste Lionello, voce di Woody Allen e Bruno Persa per Humphrey Bogart.
Ferruccio Amendola, aggiungo io alla lista. Ma obietto lo stesso. Credo che per quanto adatte, affascinanti, le voci italiane rubino la vera anima di un personaggio e l’intenzione dell’attore che lo interpreta. Lo spettatore italiano apprezza sicuramente un buon doppiatore, ma non può sapere se preferisce lui o l’originale, semplicemente perché gli è sottratta la possibilità del confronto.
Penso anche che al giorno d’oggi, quando l’alfabetizzazione non è più un problema – con alcuni margini di dubbio, ma certo il livello non è più quello del dopoguerra – i tempi siano maturi per cambiare rotta, o almeno per aprire più strade.
“Ma che fatica leggere i sottotitoli. Finisce che leggo e non vedo il film!” Quante volte l’ho sentito dire! Ma che bello, dico io, fare quel piccolo sforzo e capire che una volta abituati alla versione originale, non se ne riesce a fare a meno. Che le orecchie e la mente si adattano a una lingua straniera quanto più la si frequenta. Che quella frase, in fondo, ha senso solo se pronunciata e ascoltata in lingua originale.
Non vale forse la pena, in questo Paese in cui il cambiamento viene di continuo invocato ma prima di tutto temuto, scommettere su una via nuova? Riconoscere il valore del passato, ma concedersi la libertà di pensare a un presente e un futuro diversi?
La tecnologia, negli anni, ha dato il suo contributo: i DVD, con traccia audio originale. Restano da convincere esercenti e distributori per quanto riguarda le sale. Obiettivo arduo, direi: avanti i coraggiosi!