26 FEBBRAIO: OMAGGIO A JOHNNY CASH
“Burns, burns, burns, the ring of fire”
“Hello, I’m Johnny Cash”. Questo il biglietto da visita di John Ray Cash, cantore per eccellenza del volto rurale dell’America. Portavoce dei losers e degli outlaw, il cantastorie dell’Arkansas ha attinto a piene mani dalle sue origini contadine per mettere in versi sofferenza, ribellione e riscatto.
Un’esistenza assorbita dall’arte, dono e dannazione al tempo stesso. Dirigere un biopic non è mai impresa semplice. Tra isolati esempi illustri, opere strettamente autoriali e qualche disastro, la gran parte sono spesso lavori che non convincono appieno. Ma ce ne sono alcuni che accettano la sfida e senza la pretesa di assurgere a capolavori si affermano nella loro sincerità. La pellicola di James Mangold rientra degnamente in quest’ultima categoria. Walk the Line narra la travagliata ascesa di Johnny Cash a stella internazionale, disseminata di sofferenze affogate nel whiskey e nelle anfetamine. Il racconto si interrompe con lo storico concerto nella prigione di Folsom, le cui immagini fanno da cornice al lungo flashback degli eventi passati fino a quel fatidico ’68. Scelta di certo non casuale, trattandosi di un anno che segna uno spartiacque nella vita del cantante, portandolo ad una rinascita artistica e soprattutto spirituale, grazie al matrimonio con June Carter, da egli vissuto come via per la redenzione. Si tratta dunque di un biopic dai tratti atipici che, allontanandosi dalla forma più classica della narrazione biografica, sceglie di non trattare l’intera esistenza dell’artista e di guardare ai fatti da una singola prospettiva. Pur non sposando quello sperimentalismo visivo, la pellicola sembra quindi accostabile all’impianto formale del successivo Io non sono qui di Haynes. Come per quest’ultimo l’enigmaticità di Dylan costituisce il fulcro dell’opera, il bruciante amore nei confronti di June diviene motivo centrale di Walk the Line. Ma se il tentativo di filtrare tutto attraverso il rapporto che lega i due protagonisti ha il merito di far emergere l’uomo sul mito, allo stesso tempo adombra le conseguenze che il tormentato animo di Cash ha sulla sua musica: la profondità ricercata nel country e lo spirito cattolico degli Hymns, la celebrazione delle gesta dei nativi e l’influenza del folk di protesta. Ma consapevoli di trovarsi dinnanzi ad una scelta voluta, si avverte meno il vuoto lasciato grazie ad un’intensa prova attoriale, con un magnifico Phoenix che, affiancato da una Witherspoon da Oscar, dà volto e voce a Cash, nell’arduo ma riuscito compito di mettere completamente a nudo “l’uomo in nero”. Dalle promesse di rigare dritto fino ai tormenti amorosi, l’attore è riuscito così a racchiudere in sé tutto l’ardore e la passione di un grande eroe americano: “Love is a burning thing, and it makes a fiery ring. Bound by wild desire, I fell into a ring of fire”.
Quando l’amore brucia l’anima – Walk the Line [Walk the Line, USA 2005] REGIA James Mangold.
CAST Joaquin Phoenix, Reese Witherspoon, Ginnifer Goodwin, Robert Patrick, Dallas Roberts.
SCENEGGIATURA Gill Dennis, James Mangold. FOTOGRAFIA Phedon Papamichael. MUSICHE T-Bone Burnett.
Biografico/Drammatico, durata 130 minuti.