Non è solo l’assenza dei fiori a far discutere
C’era una volta l’età d’oro sanremese. Un’epoca nella quale il Festival ispirava il Cinema, le parolacce erano off-limits e l’Italia intera si fermava per guardare ciò che succedeva all’Ariston. Già, c’era perché l’edizione del 2014 è stata invece a dir poco sui generis. Una non voluta ma efficace dimostrazione televisiva del celebre detto “molto fumo e poco arrosto”.
Dopo aver sbandierato spavaldamente il filo conduttore delle serate, Sanremo vi ha confidato a tal punto da finire per nascondercisi dietro anziché ricercarlo davvero. La mancata concretizzazione della bellezza non massificata ha fatto poi il resto, smorzando l’aspettativa generale e impedendo di scaldare gli animi del pubblico.
Musicalmente parlando, poco ha potuto persino il tocco magico di un musicista dagli straordinari trascorsi come Pagani. Così, non palesandosi l’auspicata levatura artistica, ciò che resta è l’ennesima manciata di brani poco memorabili. Riproporre l’idea felice di far scegliere i cavalli di battaglia dei big ha certamente intrigato gli spettatori, anche se poi il peso predominante sulle sorti della gara l’ha avuto in ogni caso la giuria di qualità (vedere le votazioni pubblicate sul sito ufficiale per credere: se fosse dipeso solo dal televoto, nonostante la conferma della vincitrice, il restante podio sarebbe stato diverso). Sul fronte dell’intrattenimento, manco il pubblicizzato omaggio ai sessant’anni della tv è riuscito ad emozionare, nonostante la chiamata a raccolta di grandi personalità prestatesi nella reinterpretazione in chiave contemporanea dei miti del varietà. Complici forse, come ha spiegato Fazio a sipario già calato, i cambiamenti imposti all’originaria idea autoriale per ovviare ai doppioni di quanto già visto recentemente in Rai. Pur consci che la necessaria anticipata programmazione contenutistica non consenta sempre di azzeccare il mood nazionale prevalente durante la messa in onda, vista la notevole disponibilità tecnica e i budget astronomici le incongruenze viste sul palco si comprendono comunque a fatica. L’inedito fenomeno verificatosi in quest’edizione – l’abbassamento dell’età media dei big in gara e il contemporaneo innalzamento di quella degli artisti ospiti – nulla ha potuto contro la bizzarra legge che da qualche anno pare governare l’Ariston e secondo la quale i momenti più alti della kermesse sono riconducibili alle guest star, specialmente se estranee al mondo musicale. E così, a brillare maggiormente di luce propria sono personalità come l’eccezionale ballerino acrobatico dalle limitate capacità motorie (Tokmak), l’astronauta dalle inaspettate doti poetiche che descrive commosso il pianeta blu visto dallo spazio (Parmitano) e gli atleti che ignorano garbatamente le provocatorie battute a sfondo anatomico della Littizzetto. Insomma un Festival chiacchieratissimo, anche se non tutto da buttare. Che pur di mantenere costante lo share insiste nel relegare i giovani a ridosso della mezzanotte e inframmezzare i campioni con lunghe incursioni di ospiti internazionali, alcuni davvero troppo di nicchia. E che forse farebbe meglio a smettere di atteggiarsi a programma riempitivo del sabato sera e a ricordarsi della propria intrinseca natura musicale.