“Sei giunta, […] – io ti desideravo – e hai dato ristoro alla mia anima ardente…” (Saffo, fr. 48)
Mancanza (quella di intimità), solitudine (quella in cui si trova), rigore claustrofobico (quello che regola la sua vita): ecco il mondo in cui Abby si muove. È stanca di lavorare a casa, del rapporto con sua moglie, oramai stantìo, arrugginito, annoiato.
Dopo un incidente qualcosa in lei si rompe, si sblocca quel nodo opprimente misto di noia e routine e decide di cambiare vita. Questo è al centro di Concussion, opera prima della regista indipendente Stacie Passon. Crisi personale e crisi matrimoniale. Quarantaduenne lesbica con moglie e figli, Abby sente che la sua vita le va davvero stretta: con i bambini è tesa come una corda di violino, con la moglie oramai è tutto carezze e sesso “ordinario”, quando c’è. Abby ha bisogno di qualcosa di più e inizia una doppia vita: con la famiglia la “solita” se stessa, fuori prostituta d’alto bordo. Basta un amplesso con una professionista, una cliente soddisfatta e Abby si rende conto che questo lavoro le piace, non ha intenzione di smettere. Abby riscopre il suo corpo, il piacere e lo fa con donne a loro volta sole, intrappolate nelle loro paure, nei loro dolori. Accoglie nel suo loft le amanti: i corpi delle clienti fremono sotto le sue mani e il suo corpo fa altrettanto; finalmente può esplodere nel godimento. Se la compagna della vita ricerca tenerezza, appoggio, rasentando quasi la frigidità, Abby ha bisogno di violenta passione, possesso pieno e travolgente – nell’unico amplesso tre le due mostratoci percepiamo la distanza che c’è tra loro: l’una, imprigionata in un gorgo di mani, capelli, bocca che non riconosce come quelli della moglie; l’altra vigorosa, calda, come tizzone ardente. Abby è sempre e comunque un mistero, è sempre e comunque un’altra – un lato di lei viene sempre celato: materna con le neofite del sesso, maliziosa femme fatale con quelle più tese, morbida con chi ne ha bisogno, moglie intrappolata in un mondo piccolo-borghese, radical chic irritante prima di tutto per se stessa. Robin Weigert incarna bene l’apatica casalinga frustrata che, straniera anche per sé, si accende di passione mai paga tra le lenzuola, avvolta in fascianti abiti alla moda, nuda desiderata/desiderante si scopre. Appagata e appagante dea del sesso (lesbo), è più felice, più rilassata, coinvolta dal suo corpo. In un mare di solititudini, grumi di piacere e bisogno di essere toccate, Concussion, alle volte lento da far star male e bigio quanto la casa di Abby, indaga le pieghe dei corpi, perlustra le stanze più nascoste delle case borghesi. Nella prova di Passon non c’è spazio per falsi moralismi, per l’erotismo patinato. Concussion, nonostante alcune debolezze, è un buon inizio per la regista e un racconto discreto della ricerca di sé e di ciò che si vuole.
Concussion [id., USA 2013] REGIA Stacie Passon.
CAST Robin Weigert, Maggie Siff, Johnathan Tchaikovsky, Emily Kinney, Laila Robins.
SCENEGGIATURA Stacie Passon. FOTOGRAFIA David Kruta.
Drammatico, durata 93 minuti.