ANTEPRIMA
Tori incatenati
“Io-voglio-che-tu-risolva-i-tuoi-problemi-diventando-ricco”. Dal Vangelo secondo Jordan Belfort, il credo di un Paese lacerato, scisso, ostaggio impazzito nel labirinto delle sue ossessioni. Dalla visionarietà bigger than life di un maestro del cinema, un film in odore di epitaffio, ipertrofico e sarcastico, parabola rovinosa di un sogno del quale non restano che gli agonizzanti brandelli.
“Nessuno sa se la borsa va giù oppure su, o di lato o in circolo”. In fin dei conti, nessuno sa un bel niente. Perché sapere non è tanto importante quanto percepire: nel gioco della vendita, l’abilità di dare parvenza reale all’immaginazione è il cuore del business, ne determina il successo. Immaginazione di cosa? Ricchezza, è ovvio. Arrivare a fare “più soldi di quanti ne potremo spendere” barattando promesse fasulle con i risparmi di una vita. Sono gli anni ’80 e in America iniziano a circolare due droghe subdole, ad alto livello di dipendenza sul lungo periodo: cocaina e narcisismo. La prima brucia il cervello e sfianca il cuore, la seconda cannibalizza l’anima e annulla i sensi di colpa. Il denaro diventa la misura di tutte le cose, l’avidità – quella che “fa bene, funziona” (Gordon Gekko) – il mezzo per ottenerlo. Un delirio di onnipotenza finalizzato all’accumulo more and more, con l’eccesso come stile di vita e il materialismo esibito come status symbol. Mette da parte le favole Martin Scorsese, riapre mondi oscuri e fagocitanti come in Quei bravi ragazzi e Casinò e torna a sparare verità scomode addosso ai suoi spettatori. Parole che si consumano serrate tra commenti in voice over, discorsi galvanizzanti e telefonate adescatrici; amplessi orgiastici alternati a cocktail di stupefacenti e psicofarmaci; individui come vittime di ego smisurati innalzati a difesa di un insopportabile, insopprimibile, vuoto interiore. Un lungo, distorto “stream of (un)consciousness” avvinghiato su quel senso di “fuck-ness” (impossibile contare il numero di volte che il termine e i suoi composti vengono pronunciati dai personaggi) che ha trasformato il sogno di prosperità in incubo di alienazione. Quando un drogato/egocentrico/borioso Belfort/DiCaprio urla con orgoglio testosteronico: “Oakmont è l’America!”, noi sappiamo che ha ragione, che non esiste più alcuna Nazione al di fuori del mercato finanziario e delle sue regole, che la “promised land” è in realtà marcia dentro, terra di chimere spente e uomini falliti. Dalla tensione a tratti altalenante, The Wolf of Wall Street è un giro iperbolico sulle montagne russe delle illusioni e dei desideri umani, opera pregna di una “violenza delle intenzioni” capace di costruire con efficacia il disgusto di – e per – un mondo sconfitto, fatalmente alla deriva da tutto.
The Wolf of Wall Street [Id., USA 2013] REGIA Martin Scorsese.
CAST Leonardo DiCaprio, Jonah Hill, Margot Robbie, Matthew McConaughey, Jon Favreau.
SCENEGGIATURA Terence Winter (tratta dall’autobiografia Il lupo di Wall Street di Jordan Belfort). FOTOGRAFIA Rodrigo Prieto. MUSICHE Howard Shore.
Drammatico/Biografico, durata 180 minuti.