SPECIALE CINEMA FANTASY
Labirinto di passioni
Tutti i bambini, tranne uno, crescono. L’unico indenne alla malattia della maturazione si chiama Peter, non Sarah. A lui è intitolata una sindrome per nulla lusinghiera, mentre lei è la protagonista di un indimenticabile cult anni ‘80.
Quindici anni popolati di pupazzi, libri di fiabe e avventure recitate a memoria, Sarah si aggrappa all’infanzia con le unghie e con i denti. Un territorio di magia dorata, nel quale è facile perdersi, come nel campo di papaveri di Il mago di Oz. Un labirinto di vicoli, trabocchetti e specchi che si sbarazza della logica come un quadro di Escher. «Attenta a quel che desideri perché potrebbe avverarsi» è un detto antico e banale, ma infallibile: sparisce il fratellino piagnucoloso, e Sarah si ritrova catapultata dentro quello stesso mondo incantato in cui desiderava giocare indisturbata. Infido, pericoloso, affascinante e irresistibile, esattamente come il suo sovrano, il re degli gnomi Jareth (il volto perfettamente aderente di David Bowie nel passaggio tra fuori e dentro lo schermo non deve neppure cambiare i panni del suo personaggio divistico). Se Labyrinth è un cult per più di una generazione (ma forse l’imprinting è maggiore su chi era bimbo negli anni ‘80), la ragione è molteplice: diretto dal papà dei Muppet Jim Hanson, scritto da Terry Jones dei Monty Python e prodotto da George Lucas, vive di artigianalità tangibile nell’universo di gommapiuma e peluche che si dispiega sullo schermo; i mostriciattoli che accompagnano Sarah sul suo personale viale dei mattoni gialli sono della stessa sostanza di cui erano fatti i giocattoli che non avremmo voluto togliere dai nostri scaffali. Questo paese delle meraviglie è (proprio come quello di Lewis Carroll) per nulla rassicurante, ma intessuto d’indovinelli, doppi sensi e doppi giochi, misteri nonsense e pericoli inquietanti – come una cameretta di bambini, le fate sul soffitto e uomini neri sotto il letto. E il viaggio dell’eroe è appassionante e coinvolgente, proprio perché la tentazione è reale: al trionfo finale – «tu non hai nessun potere su di me!» è la frase che spezza l’incantesimo, conferendo a una Sarah definitivamente adolescente una piena identità personale, ma anche allontanandola dall’allettante universo fiabesco dell’infanzia – corrisponde anche la malinconia di un’età consegnata per sempre al passato. All’inverso di Spider-Man, è dalla responsabilità (completamente e faticosamente accettata) che deriva il potere: eppure tutti noi, almeno una volta, avremmo voluto accogliere l’invito di Jareth/Bowie e restare a giocare nel labirinto, per sempre, per sempre, per sempre.
Labyrinth – Dove tutto è possibile [Labyrinth, Gran Bretagna/USA 1986] REGIA Jim Hanson.
CAST Jennifer Connelly, David Bowie, Tobby Froud, Shelly Thompson, Shari Weiser.
SCENEGGIATURA Terry Jones. FOTOGRAFIA Alex Thomson. MUSICHE Trevor Jones.
Fantasy, durata 101 minuti.