31° Torino Film Festival, 22-30 novembre 2013, Torino
Non è un paese per perdenti
I detrattori (a dire il vero, pochi) e chi non si è fatto conquistare dall’entusiasmo per Inside Lewyn Davis hanno basato le loro perplessità sul fatto che i fratelli Coen sono freddi, eccessivamente programmatici e fastidiosi nella loro perfezione, con quella che, sempre secondo loro, è la loro aria da secchioni primi della classe.
I secchioni primi della classe, però, fanno temi impeccabili e formalmente perfetti, ma vuoti e privi di anima e calore; e, al di là dell’effettiva perfezione formale, questa è un’accusa che, se poteva trovare qualche vago fondamento in alcuni momenti di certe loro opere passate, lascia il tempo che trova se si parla di Inside Llewyn Davis. L’ultima fatica dei fratelli di Minnesota è infatti anche la loro opera più calorosa e malinconica, al limite dell’elegia; quella in cui mostrano più empatia e partecipazione alle vicende del protagonista e alle sue sfighe. Sì, perché il giovane cantante folk Llewyn Davis, dal talento innegabile e dall’altrettanto innegabile sfortuna, è un perdente: lo è per l’assoluta fedeltà alla coerenza artistica, lo è perché la sorte gli fa pagare con interessi salatissimi ogni minimo errore e ogni ingenuità, lo è perché non capisce e non vuole capire le regole del gioco, e lo è anche perché un po’ il destino si prende gioco di lui. Se i Coen hanno fondato molti dei loro capolavori sulla beffarda e sarcastica rappresentazione della stupidità e della cattiveria umana, con la seconda consequenziale alla prima, e in quei casi le vittime erano innanzitutto vittime delle loro stesse meschinità (si pensi a Fargo, a L’uomo che non c’era o a Burn After Reading), negli ultimi dieci anni la loro attenzione sembra essersi spostata più verso l’analisi degli oppressi loro malgrado, dalle circostanze, da azioni altrui o dal fato: processo già visibile con il personaggio dello sceriffo di Non è un paese per vecchi, e che ha trovato compimento con A Serious Man e con questa loro ultima fatica (e in questo discorso si può inserire anche Il Grinta, dove il cowboy protagonista è vittima dei tempi che cambiano). Questo ha portato anche all’accentuarsi del loro pessimismo, che assume connotazioni quasi metafisiche, più evidenti nel finale della parabola biblica e yiddish ne A Serious Man e qui accennate dalla sequenza conclusiva, molto simile ma significativamente non identica a quella d’apertura, come a dire che le cose per il povero protagonista non cambieranno mai, in una continua spirale di fallimenti e sconfitte. Opera tenera e malinconica, dicevamo, meno beffarda di altre: con questo non significa che il cinismo e il gusto dell’assurdo del “Coen’s touch” siano assenti. La loro presenza è anzi costante, ma allo stesso tempo anche meno esplicita e più sommessa, partecipe alla mestizia del loro eroe.
Inside Llewyn Davis [id., USA/Francia 2013] REGIA Ethan e Joel Coen.
CAST Oscar Isaac, Carey Mulligan, John Goodman, Garrett Hedlund, Justin Timberlake.
SCENEGGIATURA Ethan e Joel Coen. FOTOGRAFIA Bruno Delbonnel. MUSICHE t.Bone Burnett.
Drammatico, durata 105 minuti.