31° Torino Film Festival, 22-30 novembre 2013, Torino
Geometrie Narrative
Echi tarantiniani nella costruzione geometrica della narrazione di Big Bad Wolves, pellicola non casualmente amata proprio dal regista californiano, nel quale ad essere compiaciuta non è tanto la messa in scena della violenza, come crede qualcuno, ma l’esaltazione dell’aspettativa della stessa.
Lo schema è quello di una triangolazione tra i tre protagonisti, la prima metà dedicata alla preparazione del momento della tortura cui sarà vittima uno di questi, recluso nello scantinato di una casupola dispersa tra le colline palestinesi. Tre personaggi distinti ma accomunati dallo stesso evento: la morte di una bambina, seviziata e decapitata. Il fatto mette in moto un meccanismo di caccia all’unico indiziato – un represso insegnante – da parte di un rude poliziotto e dal padre della vittima, facoltoso e vendicativo. La parte iniziale serve a delineare i tre per renderli personaggi forti di una propria tipizzazione: la meticolosità del padre contrasta con l’irruenza dell’agente, ma al contempo i due si contrappongono all’infelice esistenza di un uomo creduto da tutti colpevole senza prove contro. Richiusi all’interno di una stanza buia creano una triangolazione mutabile, nella quale le alleanze sono in continuo cambiamento, quando il coraggio di proseguire con le sevizie inizia a vacillare e i rapporti di forza e di fiducia assumeranno contorni sempre più imprevedibili. Come avveniva già ne Le iene, è l’opposizione di personalità fortemente identificate e tipizzate inserite in una situazione eccezionale ad essere motore della vicenda; esse troveranno la loro reale rappresentazione scambiandosi i ruoli identificativi, mantenendo però la centralità di un argomento comune ed essenziale per la crisi di ognuno. È per questo che ci troviamo davanti ad una narrazione geometrica ben studiata e non priva di un certo umorismo nero, ma che con l’introduzione dell’elemento caotico e inaspettato spezza questo circuito dalla forma ben definita – manifesto nell’esaltazione della propria architettura. Elemento questo che contrariamente non cede mai nella composizione registica, dove la forte ortogonalità di movimento della camera esalta la preparazione aspettativa di ogni momento, usando non raramente la simmetria come elemento della messa in quadro.
È nell’attenta costruzione dei personaggi che Big Bad Wolves ha la propria genesi, nel quale l’attenta messa in scena risalta proprio sotto questo punto, compiacendosi; nel quale difficilmente trovano una reale risonanza significativa gli strani echi del conflitto arabo-palestinese – un musulmano che si aggira a cavallo come un cowboy per le colline circostanti – se non solo come il parallelismo di una brutalità fine a sé stessa.
Big Bad Wolves [id., Israele 2013] REGIA Aharon Keshales, Navot Papushado.
CAST Lior Ashkenazi, Rotem Keinan, Tzahi Grad, Dov Glickman.
SCENEGGIATURA Aharon Keshales, Navot Papushado. FOTOGRAFIA Giora Bejach. MUSICHE Frank Hayim Ilfman.
Thriller, durata 110 minuti.