Approfittando di un raro fenomeno celeste, il malvagio Malekith risveglia gli Elfi oscuri. Prima di combattere l’ancestrale nemico, Thor dovrà prendere una gravosa decisione che potrebbe compromettere il suo futuro e quello dei nove regni.
Dopo un’anteprima nazionale al Lucca Comics & Games e due lunghi anni di attesa, il mitico dio del tuono, le cui avventure nate agli inizi degli anni Sessanta, dalla penna e dalla matita del geniale duo Lee-Kirby, non hanno mai smesso di appassionare intere generazioni di empatici lettori, ritorna finalmente al cinema.
Come spesso succede con i sequel di pellicole di grande successo, anche in questo caso le aspettative sono decisamente alte e il fatto di ispirarsi a uno dei personaggi della Marvel più amati di sempre non fa che alzare la posta in gioco: il rischio in agguato è quello di deludere contemporaneamente sia i fan di lungo corso che gli spettatori ignari dei gloriosi trascorsi fumettistici dell’eroe asgardiano ma appassionatisi alle sue storie grazie al primo film. Un pericolo che viene evitato solo in parte da Taylor. Gli ingredienti di base per fare un buon temino in teoria ci sono praticamente tutti: la riconferma del già acclamato cast stellare, spietati nemici che ambiscono a controllare l’intero universo, il conflitto generazionale di opinioni e intenti tra il saggio re e il figliol prodigo che vorrebbe diventare un sovrano giusto e lungimirante, una romantica ma contrastata storia d’amore tra una ragazza comune e il valoroso principe ereditario. Non manca nemmeno lo humor delle sagaci Jane e Darcy, furbescamente impiegato già in precedenza per riequilibrare il tono generale della storia, ovviando così alle scene dove esso tende a farsi più drammatico.
Purtroppo però gli elogi finiscono qui: se, sulla carta, l’idea di ricorrere a location più affini alle reminiscenze nordiche del fumetto e a numerosi colpi di scena – uno su tutti il fatto che Loki letteralmente rubi a più riprese la scena al fratello – potevano anche risultare vincenti, il nuovo atteso capitolo non riesce a riscaldare più di tanto gli animi, anche se fortunatamente non causa troppi danni (visto il presunto prosieguo è infatti consigliabile che l’interesse del pubblico pagante rimanga entro una certa soglia). Il tiepido entusiasmo suscitato è però sufficiente a farci rimpiangere il tocco magico di Branagh, specializzato soprattutto in trasposizioni filmiche di opere shakespeariane e che, scegliendo di girare Thor, fu tacciato di aver preso una decisione artisticamente infelice, capace invece sia di scandagliare molto più in profondità l’emotività e le debolezze dei protagonisti che rendere perfettamente le atmosfere mitologiche delle avventure del figlio di Odino.