SPECIALE NEW HOLLYWOOD @ TORINO FILM FESTIVAL
Dialogo (mancato) fra due americhe
Nella prima trance di omaggio alla New Hollywood voluta dal Torino Film Festival targato Paolo Virzì, tra le tante opere che per estetica o contenuti hanno descritto un’epoca di cambiamenti a cavallo fra gli anni ’60 e ’70, non poteva mancare Cinque pezzi facili. Al secondo lungometraggio, un Bob Rafelson appena trentasettenne decide di mettere sul piatto buona parte delle contraddizioni alberganti nell’America ancora impegnata nella disfatta umana del Vietnam.
Non siamo ancora al punto di poter parlare dei reduci, come faranno altri dopo di lui con un linguaggio estremo, a volte anarchico, ma ci troviamo dentro la cicatrice aperta fra una certa ideologia borghese e una nuova leva di giovani uomini e donne insoddisfatti del proprio paese. Robert Eroica Duprea è un ex pianista di talento che abdica ad un futuro già scritto di compositore e interprete per gettarsi sulla strada, sporcandosi le mani con lavori duri e mai sicuri. All’inizio del film lo troviamo impegnato a chiudere un pozzo di petrolio, inquadrato con quel controluce che sarà cifra estetica riconoscibile del film. Torna a casa, dove ad attenderlo c’è una ragazza, una giovane cameriera svampita, totalmente persa per lui, che viene però adoperata come un oggetto carino da usare e riporre via a piacimento. In una delle sue peregrinazioni on the road, Robert incontra la sorella, anch’essa pianista problematica, dalla quale viene a sapere del peggiorare delle condizioni di salute del padre. Per non perdere l’ultima occasione di parlare con lui e magari capire il perché di un rapporto mai nato e allontanato con forza, Robert lascia il lavoro e parte assieme alla ragazza attraverso l’America. Inizia dunque da un tentativo di comunicazione fra due generazioni l’azione drammatica di Cinque pezzi facili che in sostanza rispecchia l’incapacità di una certa società, profondamente borghese, di dialogare con le nuove istanze ribelli che già con Easy Rider avevano elevato “la strada” e non “la casa” come territorio prediletto. Questo spostamento permette a Robert di incontrare nel suo percorso personaggi o tipi che servono a Rafelson per dipingere l’evoluzione del pensiero americano, su tutti l’attivista femminista Pal Apodaca inventata, è proprio il caso di dirlo, da Helena Kallianiotes. Ma se il film è, come tanti fino ad oggi hanno sottolineato, un meraviglioso affresco di quell’ambiente è altrettanto vero che, al di là dei contenuti, quello che rimane più vivo nella memoria sono le interpretazioni, potenti, imperiose, di Jack Nicholson, Karen Black e di tutti gli altri attori, ciascuno a suo modo portavoce di istanze in continua contrapposizione.
Cinque pezzi facili [Five Easy Pieces, USA 1970] REGIA Bob Rafelson.
CAST Jack Nicholson, Karen Black, Billy Green Bush, Susan Anspach, Fannie Flagg.
SCENEGGIATURA Adrien Joyce (pseudonimo di Carol Eastman). FOTOGRAFIA Làslo Kòvàcs.
Drammatico, durata 96 minuti.