SPECIALE PAUL SCHRADER
“Le leggi le fanno gli uomini, e gli uomini sbagliano…”
Los Angeles. Una Mercedes Pagoda sfreccia sulle note di Call Me di Blondie. Chi non riconoscerebbe questa scena iniziale, annoverata tra le immagini cult della storia del cinema? American Gigolo, che consacra alla regia l’allora trentaquattrenne Paul Schrader – già sceneggiatore affermato – e lancia anche Richard Gere come stella del cinema e sex symbol, si inserisce in un periodo di stallo della Storia del Cinema.
Il 1980, infatti, è genericamente l’anno che segna la fine della New Hollywood, la cosiddetta “Hollywood Renaissance” di cui Schrader è stato una delle penne cardine. Ma allora in che contesto cinematografico va contestualizzato il personaggio di Julian Kayne? In realtà si può notare quanto la sua figura rientri coerentemente in un fil rouge: Julian è un ragazzo che si è allontanato da tutti gli affetti, per dedicarsi a una vita effimera, a suon di Armani e champagne. La sua meravigliosa bolla di sapone però scoppia: conosce Michelle, di cui si innamora, viene incastrato in un omicidio e tutti gli “amici” lo abbandonano, alcuni addirittura fautori essi stessi della trappola. Tutto il mondo gli crolla addosso e, senza accorgersene, precipita nell’oscurità. Travis (Taxi Driver) è un ventiseienne costantemente depresso, apatico, isolato dal mondo, disgustato dalla società che lo circonda. Per paradosso, cade nel peccato per perseguire ideali di giustizia e onestà. Wade (Affliction) è un uomo solo, burbero e aggressivo, la cui esistenza è stata rovinata da un padre violento. L’unico sentimento che è in grado di provare è un’immensa rabbia. Tutti e tre personaggi di Schrader, tutti e tre vittime della società, esistenze votate alla solitudine, all’allontanamento dagli affetti. Tentano in tutti i modi di redimersi, anche quelli illeciti, ma finiscono per sprofondare nella perdizione. In fondo, sono portatori di ideali positivi, ma il disprezzo verso il mondo che li circonda e alcune ferite mai rimarginate del passato li portano a riempirsi di superficialità, apatia, vendetta, arrivando a sporcare la propria anima con il gesto per eccellenza più peccaminoso, l’omicidio. Schrader non risparmia niente, non dà alcuna possibilità di redenzione, fatta eccezione per Julian, macchiato ma salvato dall’amore. A differenza degli altri personaggi per lui una possibilità di rinascita c’è. Il cinema non è più semplicemente un mezzo per mostrare o raccontare, ma si evolve in interrogazione critica, in dialettica di sentimenti, in connotazione empirica, in capacità dell’immagine in quanto tale di mettere in campo le più inconsce sofferenze dell’essere umano, attraverso il passaggio dalla quotidianità alla scissione, alla rottura. Ecco che allora l’io più nascosto esce allo scoperto e si rivela per quello che è. La macchina da presa è un occhio celato in un angolino, che segue silenziosamente il personaggio, quasi rappresentasse la sua coscienza.
American Gigolo [id., USA 1980] REGIA Paul Schrader.
CAST Richard Gere, Lauren Hutton, Hector Elizondo, Bill Duke.
SCENEGGIATURA Paul Schrader. FOTOGRAFIA John Bailey. MUSICHE Giorgio Moroder.
Drammatico/Thriller, durata 117 minuti.