Bugiardo bugiardo
Quando nel 2009 riceve la proposta di realizzare un film sulla controversa figura di Lance Armstrong, Alex Gibney è reduce dall’Oscar per Taxi to the Dark Side, documentario incentrato sulla politica Usa riguardo al trattamento dei prigionieri a Guantanamo. La commissione è precisa: imbastire un’elegia del campione ritrovato, un pamphlet celebrativo che riabiliti un ciclista fino a quel momento ritenuto pulito, ma da sempre al centro del ciclone doping.
Un’occasione ghiotta, perché la storia di Armstrong sembra già una sceneggiatura di per sé. La sconfitta di un cancro ai testicoli nel 1998, sette Tour de France in bacheca, il ritiro dalle corse senza alcuna macchia e il ritorno inatteso nel 2009 per zittire chi da anni sosteneva che il miracolo fosse in realtà un imbroglio, fondato sull’uso sconsiderato di sostanze proibite. Si comincia dunque dal Mito Armstrong, simbolo sportivo ed esistenziale. Dovessimo trovare un leit motiv nello stile documentaristico di Gibney (Mea Maxima Culpa e We Steal Secrets: la storia di WikiLeaks) diremmo che la maggior parte dei suoi lavori affrontano una sorta di “disvelamento della realtà”, come se – dati per appurati dall’opinione pubblica determinati eventi – l’autore accompagnasse lo spettatore attraverso una nuova oggettività che lui e solo lui conosce. Quest’approccio però in The Armstrong Lie subisce un vertiginoso scarto: il narratore non è onnisciente. Al contrario, scopre mano a mano egli stesso la verità cambiando opinione. Gibney inizialmente crede ad Armstrong e tifa per quel fenomeno di potenza e velocità. L’incredibile risultato del Tour 2009 sarebbe stato un ideale happy end, con Armstrong terzo nella classifica finale. La Storia però ci ha restituito un’altra conclusione, con la revoca di tutti i premi vinti, sette Tour de France in cima. La motivazione è lampante: L’USADA (United States Anti-Doping Agency) ha accertato nel 2012 il bluff di Armstrong, che fra EPO, steroidi ed auto-trasfusioni ha per tutta la sua carriera fatto uso di droghe. Crollato il castello di carte, Alex Gibney ha rimesso mano alla cinepresa per filmare la seconda parte della testimonianza. Il mix di vecchio e nuovo materiale è un saggio di regia di altissima qualità, che ci mostra il grande sconfitto Lance che nonostante le spalle al muro – e nonostante la disillusione del nostro “spettatore perfetto” Gibney – difende le proprie scelte perché “è quello che tutti facevano” all’interno di un sistema collaudato e connivente. Non ci sono né pentimento né rimorso, anche perché ormai abbiamo capito di essere di fronte ad un bugiardo così abituato a snocciolare menzogne da crederci ciecamente. Come c’ha creduto Alex Gibney, lo scopritore di inganni rimasto tragicomicamente ingannato. Semplice documentario? Troppo poco. Con The Armstrong Lie siamo di fronte ad un trattato sociologico.
The Armstrong Lie [Id., USA 2013] REGIA Alex Gibney.
SOGGETTO Alex Gibney. FOTOGRAFIA Ben Bloodwell. MONTAGGIO Alex Gibney.
Documentario, durata 105 minuti.