SPECIALE ADOLESCENTI RIBELLI
We Can’t Go Home Again
La fuga da casa comincia alla fine del giorno, nel freddo della notte, sul gelido asfalto di una strada della provincia americana. Ad incrociarsi, alla stazione di polizia, sono i destini di tre giovani: Jim/James Dean, trovato ubriaco sul ciglio di una strada, Judy/Natalie Wood, scappata di casa, e John/Sal Mineo, detto Plato, accusato di aver molestato dei cuccioli.
Interrogati, i tre raccontano dei difficili rapporti con i genitori, della mancanza di comprensione e affetto. Se Jim si vergogna della debolezza paterna rispetto a una figura materna petulante e autoritaria, Judy soffre per la costante indifferenza di un padre che ama e da cui non si sente affatto amata; ed infine Plato, figlio di genitori divorziati ed abbandonato da entrambi, accudito dalla governante di colore. Tuttavia la vicenda raggiunge il suo tragico punto di non ritorno il giorno seguente, quando durante una sfida alla “corsa del coniglio”, Buzz/ Corey Allen, ragazzo di Judy, precipita nel vuoto. Perché il punto è che una volta partiti, difficilmente si ritorna a casa. Non possono che seguitare a scappare dal mondo allora Jim, Judy e Plato, proiettando sulle rovine di una casa disabitata, il proprio sogno. Ma anche questo sogno è destinato a infrangersi: dalla morte di Plato infatti, non potrà nascere un mondo diverso, migliore. E la mano di Nicholas Ray – intellettuale dallo sguardo aperto ed attento alle proporzioni orizzontali, che comprende profondamente l’America rurale e popolare, eticamente formatosi con il teatro di Brecht e il Group Theatre, John Houseman, Orson Welles ed Elia Kazan – con audace e scrupolosa attenzione fa parlare i sentimenti, piegando alle proprie intenzioni i due fondamentali strumenti che il cinema gli portava in dote al tempo: il colore e il cinemascope, usati in maniera unica dal regista al servizio del racconto intimo, ad esasperare tonalità e proporzioni, volti ed emozioni, persino alcuni oggetti quotidiani. Indimenticabili il rosso della giacca di Dean, il rossetto e il cappotto di Judy, il calzino spaiato di Plato. Ritratto che fa esplodere dal di dentro un malessere incurabile ed irrimediabilmente esteso, che dalle inquietudini dell’America del secondo dopoguerra arriva fino ai giorni nostri e che denuncia il marcio dietro la linda facciata dell’American Way of Life: denaro, successo, apparenza, come gli unici valori di riferimento di un’intera cultura, che la generazione dei giovani tenta invano di respingere, rimanendo puntualmente disattesa. Film-manifesto della gioventù degli anni Cinquanta, che in James Dean trovò il suo portavoce assoluto e che la morte prematura consegnò al mito – straordinaria la sua prova d’attore, spiazzante la sua interpretazione secondo Truffaut, nel recitare “qualcos’altro da quello che pronuncia” –, Gioventù bruciata non finirà mai di riguardare da vicino i giovani di tutti i tempi, forse perché fatalmente destinati a rimanere malinconiche isole disperse in quel mare di solitudine che è il mondo, mare che i giovani di Ray non hanno mai inteso combattere o rivoluzionare, del quale volevano piuttosto semplicemente essere parte.
Gioventù bruciata [Rebel Without a Cause, USA 1955] REGIA Nicholas Ray.
CAST James Dean, Natalie Wood, Sal Mineo, Corey Allen.
SCENEGGIATURA Stewart Stern. FOTOGRAFIA Ernest Haller. MUSICHE Leonard Rosenman.
Drammatico, durata 111 minuti.