SPECIALE PAURA IN ALTO MARE!
Oltre la superficie
Rovinarsi la vacanza, questa è l’impressione che sembra muovere i personaggi di Open Water. Nonostante la vicenda sia ispirata a un fatto di cronaca – due turisti rimasti in mezzo all’oceano aperto dopo un’immersione subacquea – quello che osserviamo rimane comunque una ricostruzione ipotizzata.
Una pellicola che si sviluppa attorno allo smarrimento dei due protagonisti nell’oceano, realizzata con troupe e budget ristretti, immerge i personaggi quasi interamente sotto la superficie del mare. Open Water si mostra tematicamente, durante le ellissi temporali, in una superficiale composizione chiasmica, contrapponendo la natura incattivita all’educata concezione civile immersa nello sconfinato selvaggio. Ma se il cinema di genere è da sempre considerabile come risacca di paure e ansie collettive, Open Water mostra il suo interesse a comporre il rapporto dei due protagonisti all’interno di una normalità borghese in cui la prima preoccupazione è quella, come detto all’inizio, di non rovinarsi la vacanza. Tutto porta a una sicurezza e ad una tranquillità che non li fa mai temere di come il tutto si risolverà: la disperazione attende a venire, arrivando solamente dopo aver difeso la propria immagine – questo è realmente il motivo che all’inizio non li spinge a dirigersi verso una delle imbarcazioni attorno a loro, per evitare la figuraccia di sbagliare. È nella concezione dell’organizzazione vacanziera calcolata e controllata in cui tutto segue un programma immaginato, perché ormai si ha pagato, che si inibisce lo sguardo dei protagonisti sotto la superficie del mare. L’impossibilità di guardare oltre non sembra essere circoscritta a questa particolare situazione: lo scambio di dialoghi tra i due personaggi continua a riaprire il discorso su una normalità costantemente sentita vicina, che ci ricollega all’incapacità di osservare sotto la superficie di una vita benestante. Per la prima volta ciò che li colpisce, ai piedi, diviene inquietante, sotto di loro si schiude un mondo di paure che non credevano esistesse perché convinti di esserne immuni. L’acqua stessa diviene qui classico elemento rappresentante di un inconscio di paure da sempre inafferrabili: per la prima volta visibile, rilancia verso una necessaria consapevolezza di ciò che ci punge o tocca, e dove gli arti, letteralmente collegati a noi, non sono semplici aree periferiche di un mondo nei pressi del nostro.
Open Water [id., USA 2003] REGIA Chris Kentis.
CAST Blanchard Ryan, Daniel Travis, Saul Stein, Estelle Lau.
SCENEGGIATURA Chris Kentis. FOTOGRAFIA Chris Kentis, Laura Lau. MUSICHE Graeme Revell.
Thriller/Drammatico, durata 76 minuti.