51. Viennale – Vienna International Film Festival, 24 ottobre – 6 novembre 2013, Vienna
La coscienza dell’assassino
“La Storia la fanno i vincitori”, sentiamo dire ad un certo punto dello sconcertante documentario The Act of Killing. Un’affermazione tanto veritiera quanto soggettiva, che si porta appresso un’ovvia domanda: fino a che punto i governi e le loro maestranze possono spingersi nel ricostruire la memoria collettiva, plasmandola a loro piacimento e giustificando i propri misfatti senza vergogna?
Il regista texano Joshua Oppenheimer apre un varco spazio-temporale davanti ai nostri occhi esterrefatti, proponendoci una vicenda nazionale tanto surreale e assurda da sembrare frutto della fantasia di un abile sceneggiatore. E invece no: tra il 1965 e il 1966 l’esercito depone il governo indonesiano con un colpo di Stato. Lo fa reclutando giovani paramilitari e piccoli fuorilegge dediti al bagarinaggio di biglietti del cinema, ai quali viene impartito un unico ordine: uccidere. Uccidere i sindacalisti, la minoranza etnica cinese, i contadini e gli intellettuali comunisti. Un genocidio tutt’ora privo di alcuna revisione politica e/o sociale, che eleva gli assassini ad eccezionali eroi della Patria invece che a brutali criminali. La “caccia al comunista” prosegue anche oggi, la dittatura comanda ogni mezzo di comunicazione con conseguenze devastanti: i libri di Storia indonesiani continuano a spiegare le purghe in termini di difesa e sovranità, i sicari di allora sono trattati con stima e vengono omaggiati dai ministri, mentre in totale relax percorrono le strade di Giacarta. La cinepresa decide di inseguire in particolar modo uno dei personaggi più famigerati e rappresentativi di quel massacro, Anwar Congo. Ed è a questo punto che avviene lo scarto tra la convenzionalità di un documentario storico e l’irripetibile testimonianza di The Act of Killing. Ad Anwar viene infatti chiesto di girare un film che ripercorra le gesta della sua gioventù, rimettendo in scena le torture e gli omicidi ad uso e consumo delle nuove generazioni. In set elaborati e minuziosamente ricostruiti entriamo nell’abisso delle sue scellerate azioni e di folli e auto-indulgenti motivazioni (pare che il termine “gangster” significhi “free man”, e ci piacerebbe sapere attraverso quale bizzarro etimo). Per evitare un eccessivo spargimento di sangue le persone venivano strangolate col fil di ferro, e beatamente finivano nel paradiso degli assassinati, immaginato con cascate e donne danzanti, dove i morti avevano finalmente l’opportunità di ringraziare gli uccisori per la pace eterna. Come a dire che nella totale mancanza di rielaborazione culturale la banalità del male giustifica ogni atto. Ma cosa resta allora ad una nazione violentata, se un regime può permettersi di dichiarare apertamente di fondarsi su palesi crimini contro l’umanità? Forse una lenta e pur primitiva presa di coscienza, come mostrano le ultime immagini di questo sconvolgente e spaventoso documento.
The Act of Killing – L’atto di uccidere [The Act of Killing, Gran Bretagna/Danimarca/Indonesia 2012] REGIA Joshua Oppenheimer.
SOGGETTO Joshua Oppenheimer, Christine Cynn, Anonymous. FOTOGRAFIA Carlos Arango de Montis. MUSICHE Elin Oyen Visten.
Documentario, durata 159 minuti (director’s cut).