Ricevo ancora molto spesso richieste da parte di laureati in vista di una possibile pubblicazione della propria tesi. Nella maggior parte dei casi, non sono tesi meritevoli di diventare volume, e gli studenti – in perfetta buona fede – sbagliano per il semplice fatto che qualcuno ha instillato loro l’idea che debbano pubblicare per legge di natura. Delle restanti tesi, che fare?
Le possibilità che una casa editrice che conta, di quelle rare rimaste ancora serie e autorevoli, si imbarchino in saggistica di giovani esordienti, sono pari allo zero. Di conseguenza, si finisce con l’approdare a editori improbabili che quasi sempre chiedono un contributo di pubblicazione, poi usano carta, grafica e packaging editoriale da denuncia penale, e infine tirano qualche centinaio di copie che finisce del tutto ignorato anche nelle librerie specializzate. Meglio lasciar perdere.
Questo in generale. Il medesimo destino, tuttavia, si è ormai impadronito anche delle pubblicazioni maggiori, fatte da giovani e meno giovani ricercatori, o da critici di valore, e – anche quando faticosamente vengono pubblicate da editori di vaglia – cadono nel vuoto. Vivendo in una comunità scientifica coesa, posso assicurare che tra colleghi è rarissimo notare, leggere e poi discutere insieme un libro della nostra disciplina. Pur non essendo un nostalgico dei bei tempi che furono, la situazione mi pare preoccupante, perché è come se la crisi del settore librario nel suo complesso abbia sterilizzato e privato di qualsiasi interesse le pubblicazioni di settore, che esistono quasi solamente grazie alle adozioni universitarie. E dire che la ricerca e la critica, nel loro complesso, vivono un periodo fertile. Non solo i dottorandi e i giovani ricercatori, in media, sono più preparati di un tempo, ma i libri di cinema comparsi negli ultimissimi anni meritano più di un’attenzione. Per dire: Da Ercole a Fantozzi di Giacomo Manzoli rivoluziona il modo di guardare al cinema popolare superando di slancio le contrapposizioni buon gusto/cattivo gusto e conservatorismo/trash che avevano finora polarizzato il dibattito; L’invenzione del luogo curato da Andrea Minuz rilancia la nozione di immaginario e di spazio mettendosi alle spalle le ormai vetuste nozioni di rappresentazione classica o moderna; Ciò che brucia (non) ritorna curato da Giulio Bursi e Simone Venturini rimette in gioco il tema della filologia e del restauro con la faretra piena di idee innovative; l’intera collana “Italiana” del Castoro introduce nuove metodologie nello studio del nostro cinema, che a sua volta subisce revisioni epocali in Gli anni affollati di Claudio Bisoni (sulla cultura cinematografica anni Settanta) e in Anni Ottanta: quando tutto cominciò curato da Paolo Mattera e Christian Uva; persino i sepolcri imbiancati come il neorealismo sono stati riconsiderati con un approccio nuovo e ineccepibile in Il cinema neorealista curato da Paolo Noto e Francesco Pitassio, per non parlare di operazioni più piccole ma non meno sorprendenti quali Leggeri come in una gabbia di Alessandro Faccioli (sul comico in Italia dal ’30 al ’44). Potrei citarne molti altri, ma il rammarico delle occasioni sprecate e la sensazione di un’indifferenza nei confronti dei libri di cinema (indipendentemente dal formato cartaceo o digitale) rimangono difficili da digerire. Forse è venuto il momento (lo dice un grafomane compulsivo) di scrivere di meno e leggere di più.