SPECIALE ABDELLATIF KECHICHE
Un cous cous per la vita
Nella cittadina di Seté, secondo porto della Francia mediterranea dopo Marsiglia, il sessantenne Beiji, operaio di origini maghrebine rimasto disoccupato, impegna la propria indennità di licenziamento nella realizzazione di un ristorante a bordo di un barcone dismesso, dove poter servire la specialità dell’ex moglie, il cous cous di pesce.
Terzo lungometraggio di Abdellatif Kechiche, Cous cous − piatta versione italiana del titolo originale, La graine et le mulet − è ad oggi anche il film mediano di una filmografia densissima, l’opera che ha definitivamente imposto l’autore all’attenzione internazionale e che maggiormente ha trovato concordi pubblico, critica, e le ovvie fazioni interne ai due schieramenti. Vincitore del Gran Premio della Giuria alla Mostra del Cinema di Venezia del 2007, dove con molte polemiche gli si preferì Lussuria – Seduzione e tradimento di Ang Lee, Cous Cous confermava la tensione di Kechiche a mettere in discussione, o meglio mascherare fino al grado zero, le sofisticazioni della messinscena, cercando di ridurre non soltanto la distanza della macchina da presa dai corpi e dai volti dei personaggi, ma della finzione stessa dalla vita. Lo faceva partendo ancora una volta dai problemi identitari della comunità maghrebina trapiantata in Francia, ma superando le tendenze del filone beur per aspirare a una dimensione universale, dove i problemi del protagonista Beiji − la lotta per la sopravvivenza e la realizzazione di un sogno personale − diventano gli emblemi di una contemporaneità svilita e soffocata. Kechiche si dimostrava già allora (tirannicamente o no, questo dovremmo avere il coraggio di considerarlo secondario) uno dei migliori direttori di attori del cinema francese, capace di catturare un’autenticità prorompente anche dagli interpreti prestati dalla strada e di sapere esattamente dove posizionarsi per restituire, attraverso blocchi narrativi dilatati ma sempre necessari e puntuali, la verità e complessità del racconto. Di fronte alla struggente ferita del personaggio, in costante difficoltà nell’affrontare la flessibilità del nuovo mondo del lavoro e la burocrazia che ostacola il suo tentativo di rilanciare un’esistenza, gli aiuti e i sostegni più significativi arrivano dalla famiglia allargata che lo circonda − un moltiplicarsi di voci, giudizi, punti di vista − e in particolare dalla figlia Rym, personaggio emblematico perché punto di contatto e cerniera ideale, come del resto il cous cous e la danza del ventre finale, tra passato e presente, tradizione e novità, identità e integrazione forzata. Un film che non parte dall’ideologia per raccontare la vita, ma ugualmente cattura le derive ideologiche che ancora abitano la realtà, i giudizi e le resistenze che ci sottraggono alla piena realizzazione del nostro sogno.
Cous cous [La graine et le mulet, Francia 2007] REGIA Abdellatif Kechiche.
CAST Habib Boufares, Hafsia Herzi, Faridah Benkhetache, Abdelhamid Aktouche.
SCENEGGIATURA Abdellatif Kechiche. FOTOGRAFIA Lubomir Bakchev.
Drammatico, durata 135 minuti.