SPECIALE BEAT GENERATION
Le sfumature delle ombre
L’esordio al lungometraggio di John Cassavetes è un perfetto termometro delle tendenze del cinema indipendente dell’epoca: il Free Cinema e l’imminente Nouvelle Vague orientano l’urgenza di una spontanea rappresentazione della realtà il più possibile priva di intermediazioni, una costruzione della messa in scena con pochi mezzi e fondata sull’improvvisazione, qui ribadita e “ostentata” nella didascalia al termine del film.
Precocemente Cassavetes assorbe e restituisce tutto questo in Ombre, rigirato nel ’59 nella versione definitiva che segue quella quasi introvabile del ’57. Cassavetes costruisce la narrazione con l’illuminazione e le musiche di Mingus, ma non la sovverte in modo significativo, passando attraverso alcune tappe tradizionali: presentazione dei personaggi, incontro amoroso, apice drammatico. Il tutto è però depotenziato, immerso in un flusso vitale che si separa e riunisce costantemente secondo tra segmenti, uno per ognuno dei tre fratelli protagonisti: i vagabondaggi di Ben, inseguito e “descritto” dalle note del sax di Shafi Hadi; il lavoro di Hugh, il suo buon senso e il suo continuo parlare; la curiosa esplorazione del mondo di Leila. Le tre sfumature diverse di pelle nera sottolineano con forza disarmante l’assurdità della differenziazione basata sulla razza, amplificata dal triste equivoco centrale del film, e già evidenziata nella contrapposizione tra le due feste, quella “letteraria” dove Lelia conoscerà Tony, e quella organizzata da Hugh, frequentata da soli membri della comunità afro-americana. Ben, che non sembra a suo agio in nessun contesto, è l’incarnazione più evidente – ma non unica: anche Lelia è esplicitamente in cerca di qualcosa che la definisca – di un disagio esistenziale connaturato allo stesso spazio-tempo vissuto dai protagonisti: un’epoca completamente aperta a stimoli intellettuali e artistici più o meno genuini, più o meno innovativi (da un lato le velleità letterarie e artistoidi prese in giro nella sequenza al giardino del Metropolitan, dall’altro la cultura beat “di strada”), e al contempo contraddittoriamente striata di pregiudizi. Ma Ombre è tutt’altro che un film a tesi, è un oggetto indefinibile: la sua forza sta proprio nel suo tessuto irregolare, in cui Cassavetes può giustapporre una spensierata fuga d’amore giovanile al parco alla più luttuosa delle esperienze sessuali, o i guai passeggeri di una vita irrimediabilmente borderline al più schietto e allegro affetto fraterno.
Ombre [Shadows, USA 1959] REGIA John Cassavetes.
CAST Lelia Goldoni, Hugh Hurd, Ben Carruthers, Anthony Ray, Rupert Cross.
SCENEGGIATURA John Cassavetes. FOTOGRAFIA Erich Collmar. MUSICHE Shafi Hadi, Hunt Stevens, Eleanor Winters, Charles Mingus.
Drammatico, durata 79 minuti.