SPECIALE BEAT GENERATION
L’insetto sulla schiena
Naked Lunch raccoglieva al suo interno un inferno immaginifico in piena linea con il lavoro e la ricerca di David Cronenberg, e la sensazione è che il film tragga la sua forza proprio dalla capacità, da parte di un regista maturo e ormai proiettato verso i suoi capolavori, di trovare il corretto compromesso tra fedeltà al testo e rielaborazione della sua architettura, ottenendo un’opera differente e tuttavia rivitalizzando l’eredità profonda della visione di William Burroughs.
Del resto era il testo di partenza a nutrirsi deliberatamente e, con tossica ferocia, del mondo dei sogni, della giustapposizione cioè di parole e immagini, così come lo stesso Burroughs l’aveva definito. Truman Capote considerava Burroughs un dattilografo dotato di forbici e carta: un esploratore di ritagli e di sovrapposizioni, potremmo dire, seguace del principio di cut-up di cui Naked Lunch era il primo grande esemplare in letteratura. Niente di più vicino al cinema, e al cinema di Cronenberg, a quella attitudine cioè di creare linee di associazioni tanto più autentiche quanto più invisibili o così frequentemente rimosse dall’essere umano. Far coincidere il racconto di un’allucinazione con un processo di dilatazione dalla coscienza, ecco cosa animava entrambe le opere: certo Cronenberg ha il vantaggio di rafforzare il proprio adattamento con innesti da ulteriori racconti e – specialmente – dalla biografia di Burroughs (l’episodio sconvolgente della morte della moglie), ma l’attenzione non si sposta dal problema della scrittura – potremmo dire della parola – come forma omicida di controllo, e il film amplifica la denuncia metaforica della società americana come mondo repressivo e violento, dove diversità e solitudine sono insieme la colpa e la pena. Cronenberg gioca con i generi del cinema (la fantascienza, l’horror, il noir, la spy story e la satira), con immagini disturbanti e viziate, capaci di sorprendere anche a distanza di vent’anni, ma nel plasmare le figure di corpi alieni, ombre animali e personaggi malati tiene chiaro e porta fino in fondo il meccanismo drammaturgico di un destino tragico del personaggio, la coazione a ripetere a cui è inconsciamente condannato. Filtrata attraverso i temi dell’allucinazione e della tossicodipendenza, Cronenberg insiste su quella perversione omnimorfa freudiana per cui la sessualità è insita in ogni cosa, può abitare ogni immagine, non possiede orientamenti definitivi di genere. Per queste ragioni, e per la sapiente colonna sonora di Howard Shore, con efficacissimi interventi jazzistici di Ornette Coleman, Il pasto nudo resta un film capace di abbattere la barriera tra finzione e realtà, sottrarre ogni possibile appiglio allo spettatore, costringerlo a vagare nei potenziali meandri della sua stessa mente.
Il pasto nudo [Naked Lunch, Canada/Giappone 1991] REGIA David Cronenberg.
CAST Peter Weller, Judy Davis, Ian Holm, Julian Sands, Roy Scheider.
SCENEGGIATURA David Cronenberg. FOTOGRAFIA Peter Suschitzky. MUSICHE Howard Shore, Ornette Coleman.
Fantastico, durata 115 minuti.