SPECIALE BREAKING BAD
All bad things come to an end (?)
Breaking Bad si è concluso, è tempo di bilanci. La seconda parte della quinta stagione, strategicamente posticipata di un anno, raccoglie tutto ciò che – con maggiori imperfezioni – la prima parte era andata seminando, e tenta con successo di dare forma a una conclusione che, per quanto definitiva, concede un’apertura, una redenzione a Walter White e alla sua deriva morale.
È giusto sottolineare come, con grande effetto di sorpresa, quello che sembrava essere il cardine della stagione – lo scontro finale tra il male a tratti inconsapevole di Walt e il bene un po’ reazionario di Hank – si risolva ben prima dell’effettiva conclusione: Breaking Bad, del resto, non è mai stato davvero un racconto manicheo di contrapposizioni, ha sempre riflettuto anzi sulle sole sfumature del male, su come il male non nasca né muoia, ma piuttosto si trasformi e propaghi energia anche quando apparentemente sia stroncato o riduca, al limite della sovrapposizione, la propria distanza dal bene. Le immagini di cui il male si compone – il tumore, il mercato della droga, la violenza ora sottile ora esplosiva della realtà tutta intorno a Walt – sono fenomeni in continua espansione o contrazione, un concentrato di azioni e reazioni di cui non è possibile prevedere con lucidità le immediate conseguenze. Un evento chimico fuori controllo, come la natura umana che, solcando la soglia del nuovo secolo, mette in discussione la dimensione americana del disciplinamento sociale e reinventa, a costo di entrare in contatto mostruosamente diretto con il proprio dolore, una personalissima definizione di libertà. “L’ho fatto per me”, rivela Walt a Skyler in una straziante scena conclusiva, “mi sentivo vivo”. Parole così cristalline: perché se in molte altre serie il personaggio tenta di nascondere una macchia del proprio passato, Breaking Bad si configura al contrario come l’esercizio ininterrotto di un lento cupio dissolvi attraverso il quale riscattare un’esistenza castrata e vuota – un doppio lavoro logorante, una famiglia-fardello, il rimpianto di non aver saputo nutrire l’immagine sognata di se stessi. Avvicinarsi alla propria caduta, ora coi tempi rapidi dell’azione, ora con quelli dilatati dell’attesa e del nascondimento, rende Walter White un eroe tragico a tutti gli effetti, un ingegno polutropos, capace di adattarsi e trasformare le situazioni costantemente a proprio vantaggio, distribuendo morte o concedendo la vita, ininterrottamente in compromesso con la questione morale. Come si concluda Breaking Bad, se è ancora possibile, è giusto non dirlo: basti pensare che, dopo una catena ininterrotta di dolore e progressivo distaccamento, la perdita di un’intera vita e l’esperienza della solitudine più pura, tutto quel senso di colpa di cui Jesse Pinkman rappresenta in fondo l’immagine incarnata e il testimone residuale, si risolve in un profondo vuoto, nello stesso luogo dove questa avventura aveva avuto origine: un laboratorio di chimica.
Breaking Bad – Reazioni collaterali [Breaking Bad, USA 2008-2013] IDEATORE Vince Gilligan.
CAST Bryan Cranston, Aaron Paul, Anna Gunn, Dean Norris, Bob Odenkirk, Giancarlo Esposito.
Drammatico, durata 47 minuti (episodio), stagioni 5.