Certo non guasta, ma non è indispensabile essere nati come Marcel Proust il 10 di luglio per apprezzare la poetica del ricordo che da sempre, per sua stessa natura, è il primo dei comandamenti del cinema.
Che strano chiamarsi Federico, il nuovo film di Scola che aveva annunciato il ritiro e per fortuna non ha mantenuto la promessa, così come Olmi, è dedicato a Fellini e si basa, questa è la meravigliosa coincidenza, su una doppia recherche, una doppia memoria che si incastra come i pezzi di un grande puzzle che ricostruisce l’Italia romana anni ‘40 e oltre, sui tavoli della redazione del “Marc’Aurelio”, sui tavolini dei bar, in giro con l’auto per Roma chiacchierando con un madonnaro, a Cinecittà dove il nostro Federico scappa dalla sua cerimonia funebre sorvegliata dai carabinieri col pennacchio, come Pinocchio, correndo via verso i vialetti degli studios della sua casa cinematografica (l’avrebbe fatto di sicuro). E attraverso la storia di un’amicizia, nella grande famiglia del cinema italiano di una volta, riscopriamo i grandi talenti del cinema e della satira e della rivista: insieme a quei due ci sono tutti gli sceneggiatori della futura commedia e gli autori delle riviste dell’epoca. In realtà ogni film è un ricordo: quando arriva a destinazione perché registra qualcosa che è avvenuto qualche tempo prima, ma c’è una data di realizzazione (in questo caso Scola ha lavorato in aprile-maggio) e una data ideale di riferimento, ed è qui che torniamo alla Roma felliniana (un pezzettino del suo raccordo anulare si mangia tutto il Sacro GRA) che si raddoppia con quella di Scola, due immigrati, armati di grande senso dell’umorismo, voglia di stupire pur arrivati nella capitale del cinema da zone diversissime, uno da Trevico e l’altro da Rimini, come leggenda racconta. Il cinema di oggi è meno dedito e fedele al rito del ricordo, perfino il flash back è meno usato, da quando gli americani le prime volte facevano ondeggiare l’inquadratura per entrare o in un sogno o nell’immaginazione. Ed è sempre Fellini che ha posto poi la memoria protagonista del suo 8 e mezzo, ma fu un avvenimento: non solo è il film più bello del mondo ma ha rotto gli steccati, è stato come l’Ulisse di Joyce in letteratura. E se Amarcord detta legge in questo campo, non c’è bisogno che sia tutto vero basta che sia verosimile, molti sono i Grandi Autori che hanno fatto dei propri ricordi la materia stessa del raccontare per immagini e non si può non citare un grande e vivente maestro molto spesso dimenticato, Alain Resnais autore di veri poemi in prosa sulla poesia della mente, da Hiroshima mon amour a Provicence. Oggi il film si esprime in modo diverso e la passione ormai generale per le serie televisive, metti il grande Downtown Abbey ma anche altro, dimostra che forse la vasta platea contemporanea bada da sola al proprio passato e il film trasmette solo azione, senza mai voltarsi indietro o avanti, senza far pause, senza godere di silenzi, senza l’introspezione che invece rimane la cosa più affascinante di un’immagine, specie quando si ferma il tempo necessario perché si possa farla nostra.